La polemica dei principi dello champagne italiano: "Non chiamatele bollicine"

Disputa eno-linguistica. I grandi produttori: "Il vino va chiamato solo con il suo nome. Le generalizzazioni rovinano l’immagine. Puntiamo sul territorio"

La polemica dei principi dello champagne italiano: "Non chiamatele bollicine"

Si fa presto a dire bollicine. Termine con il quale si può onestamente designare qualsiasi bevanda che induca (l’esofago è l’esofago) al rutto. Da quello low cost della gazosa e quello nobile del Krug Clos d’Ambonnay 1996. Ma si fa presto anche a dire spumante, parola con cui da che mondo è mondo ognuno di noi designa la bottiglia «friccicarella», magari quella bastarda e senza gloria vinta al tre-palle-un-soldo del luna park. Il fatto è che, come al cuore, anche all’effervescenza non si comanda. Che costi 100 o 5 euro lo «schiumante» è il vino della festa, quel Brut che lo zio di turno apre (facendo il botto) per accompagnarlo in modo enologicamente scorretto allo zuccherino saint-honoré con cui si solennizza il battesimo di Matteo.
Ora questo bric-à-brac dei calici è un ricordo. Almeno nelle intenzioni di Maurizio Zanella, presidente del Consorzio Franciacorta e patròn di Ca’ del Bosco, una delle più rinomate cantine di questa area della provincia di Brescia, a due passi dal lago di Iseo, che vanta incontestabilmente la migliore produzione di metodo classico d’Italia. «Chiamiamo il vino con il proprio nome e non con termini che ne generalizzano e ne uniformano le peculiarità, appiattendone, di fatto, la qualità percepita. “Bollicine” è un termine obsoleto e senza futuro. Il tempo presente ci offre una nuova occasione per affermare i nostri vini di qualità, cominciando dal consolidare la cultura di base in materia e da un appropriato linguaggio», spiega Zanella. Che da aristocratico del vino e quindi un po’ snob, non ci sta a veder confuse nella vulgata e nei titoli dei giornali le bottiglie a docg prodotte nel suo territorio rispondendo a un disciplinare rigorosissimo con la plebe del perlage. Quindi, a ognuno la sua qualità e il proprio territorio. In sostegno di Zanella va Gelasio Gaetani, enologo e wine-man tra i più noti: «Zanella ha dimostrato che la qualità dello spumante italiano non ha nulla da invidiare allo Champagne francese. Per questo lo comprendo se si sente offeso dall’uso generico del termine bollicine che finisce col mettere insieme ottimi spumanti e vini di media qualità».
Gaetani mette il dito nella piaga. Che è il confronto con lo Champagne, che da decenni si è meritato l’onore di non essere confuso con nessun altro vino, autodefinendosi. Champagne è Champagne. Allo stesso modo Franciacorta vuole essere Franciacorta, tout court. Il che è legittimo e giusto. Purché questo non nasconda un complesso di inferiorità (è il nostro sospetto).

E purché la si smetta di sentire produttori e critici affermare spavaldi: «Ormai non abbiamo niente da invidiare agli Champagne». Perché anche questa è una generalizzazione che non fa il bene delle migliori bollicine (è l’ultima volta, giuriamo!) italiane.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica