Pronto il piano rianimazioni: mappatura e altri 3mila letti

Via al monitoraggio degli ospedali. Meno casi e più giovani: ma chi c’è è grave

Pronto il piano rianimazioni: mappatura e altri 3mila letti

I pazienti ricoverati in terapia intensiva per Covid sono 175 in tutta Italia. Un numero che non è nemmeno lontanamente paragonabile a quelli della scorsa primavera, quando, il 3 aprile, siamo arrivati a un picco di 4.060 casi di pazienti attaccati a un respiratore. Pur sapendo che non replicheremo più una situazione al collasso come quella dei mesi scorsi, nei reparti ci si prepara a qualsiasi evenienza, soprattutto in vista di un’eventuale ondata legata al rientro della scuola e all’arrivo delle influenze di stagione. Il piano autunnale del governo prevede 3.443 posti in più nelle terapie intensive e 4.213 nelle sub intensive, permettendo di raggiungere un totale di 11mila letti. Saranno poi allestiti 300 letti «mobili», postazioni da trasportare dove necessario in caso di emergenza. Se una cosa abbiamo capito di questo virus è proprio che non si muove in modo uniforme e quindi l’allarme potrebbe scattare in regioni che finora hanno vissuto l’epidemia in maniera blanda. Un esempio sono i casi di Sassari, che in questi giorni ha esaurito i 20 posti letto del reparto, e Palermo, che può contare su otto postazioni di terapia intensiva quando i casi raddoppiano ogni giorno. Anche per questo l’associazione degli anestesisti Siaarti a ottobre comincerà un monitoraggio, città per città, per capire quali sono le esigenze delle varie aree. «I reparti di terapia intensiva - spiega Carlo Federico Perno, virologo a capo del laboratorio di Microbiologia dell’ospedale Niguarda di Milano - si stanno riempiendo lentamente ma al momento c’è ancora una capacità di accoglienza dei pazienti molto elevata. A chi pensa non servano più i letti di intensiva, vorrei dire però che i casi gravi arrivano ancora e, anzi, in qualche caso nei reparti ci sono ancora pazienti ricoverati dalla scorsa primavera». I numeri dei ricoveri saranno tuttavia più bassi «non certo perchè il virus è più blando - sostiene Perno - Il virus è sempre lo stesso. Semplicemente riusciamo a prenderlo per tempo. Prima tamponavamo solo i casi gravi, per questo il tasso di mortalità era molto alto. Ora invece andiamo a cercare gli asintomatici e cominciamo le cure molto molto in anticipo rispetto a prima. L’età media di chi si ammala è 30 anni ma, se questi ragazzi non seguissero le terapie, rischierebbero di finire in rianimazione. Quindi non sottovalutiamo l’infezione». Quando l’anestesista del San Raffaele Alberto Zangrillo sostiene «se Berlusconi si fosse ammalato a marzo sarebbe morto», non è quindi a causa della maggior o minor letalità del virus, ma a causa delle cure tempestive e delle diagnosi precoci che oggi sappiamo fare e che fino a qualche mese fa non riuscivamo a sostenere. In ogni caso, il piano autunnale messo a punto dal ministro alla Salute Roberto Speranza prevede più scenari, quattro per l’esattezza, in base alla gravità dell’epidemia.

Con una trasmissione del virus «localizzata» come oggi, con una trasmissione «sostenuta ma gestibile» con Rt tra 1 e 1,25, con un quadro che mette a rischio la tenuta del sistema sanitario (con Rt fino a 1,50) e infine lo scenario peggiore, cioè con la «trasmissibilità non controllata» con Rt sopra 1,50 per più di un mese). Per ogni situazione verranno indicati i posti letto necessari, il numero di dispositivi di protezione da calcolare eccetera. Stavolta giocando (davvero) d’anticipo sull’emergenza.

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