Il punto di caduta per una via d'uscita

Fallita l'ipotesi di mediazione cinese, se ne affacciano altre. Perché. Tutti sono consapevoli che è necessario esplorare ogni possibile strada per arrivare a una soluzione del conflitto.

Il punto di caduta per una via d'uscita

Fallita l'ipotesi di mediazione cinese, se ne affacciano altre. Perché, al di là dello stallo sul campo di battaglia e delle minacce che si scambiano Mosca e Kiev, tutti sono consapevoli che è necessario esplorare ogni possibile strada per arrivare a una soluzione del conflitto. Ieri il Wall Street Journal ha scritto che nell'incontro di Parigi di dieci giorni fa il presidente francese Macron e il cancelliere tedesco Scholz hanno chiesto a Zelensky di avviare colloqui con Mosca. Di più, nell'articolo viene vagheggiata una sorta di adesione non a pieno titolo dell'Ucraina alla Nato o, comunque, un'intensificazione dei legami militari con l'Alleanza che garantisca a Kiev protezione per il presente e per il futuro per spingerla a ricercare una sorta di tregua armata con la Russia sulle posizioni attuali dei due eserciti. Nelle capitali europee, infatti, cominciano a sorgere dei dubbi sulla possibilità che l'esercito ucraino possa riconquistare davvero i territori perduti. Si andrebbe, insomma, verso una sorta di modello coreano, in cui nuovi confini sarebbero tracciati sulla linea del fronte.

Di ipotesi di mediazione nei prossimi mesi ne arriveranno tante, perché più va avanti il conflitto, più lo stallo si cristallizza, più aumentano i morti e più l'anelito alla pace si fa largo nelle opinioni pubbliche e nei governi occidentali.

Ma il primo presupposto, imprescindibile, per aprire la strada a una tregua è, appunto, assicurare a Kiev garanzie di sicurezza durature. Il 7 ottobre scorso scrissi su questo Giornale uno scenario simile a quello ipotizzato dal WSJ: sostenevo che ogni ipotesi di pace tira in ballo in un modo o nell'altro un nuovo rapporto tra l'Ucraina e la Nato (sempre più stretto, per arrivare nel tempo allo status di Paese membro), perché è proprio l'ombrello dell'Alleanza e, quindi, la certezza di non essere lasciata in balia dell'orso russo in futuro - insieme agli impegni per la ricostruzione - che può alla fine convincere Kiev ad accettare una tregua o una pace che preveda la perdita di parte del Donbass e della Crimea. Le due cose sono strettamente correlate. Se il campo di battaglia - com'è prevedibile - non darà il nome di un vincitore, il solo sbocco possibile sarà un equilibrio basato sulla forza. E a quel punto l'unico soggetto che possa bilanciare la Russia sarà come sempre la Nato. Del resto, fingere che l'Ucraina non sia già nella Nato è ipocrita: i miliardi di dollari e di euro per gli aiuti militari ne sono la prova tangibile. E alla fine, con i tempi della diplomazia, gran parte dei protagonisti si stanno acconciando piano piano a questa prospettiva.

I due duellanti saranno gli ultimi. Mosca dovrà accettare di avere un confine ben più lungo con Paesi legati all'Alleanza: prima doveva vedersela solo con i Baltici e la Norvegia, in futuro con la Finlandia e, di fatto, con l'Ucraina. È lo scotto che pagherà Putin per l'improvvida «operazione speciale».

Zelensky, invece, nei prossimi mesi si accorgerà che un conto è chiedere l'appoggio dell'Occidente per difendere la propria indipendenza e il diritto all'autodeterminazione del suo popolo, un altro per la riconquista del Donbass. Il primo è un obbligo morale per l'intera comunità internazionale, il secondo è un obiettivo che deve essere rapportato al costo in vite umane.

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