Spiace ascoltare da uno dei più seri politici della Lega, Giancarlo Giorgetti, l'allarme complotto: «A fine agosto i fondi speculativi ci aggrediranno». Perché «l'Europa e le élite temono questo governo». E ancora che «i mercati sono popolati da affamati fondi speculativi che scelgono le loro prede e agiscono». Spiace perché così si fa leva sui peggiori o meno informati spiriti degli italiani, al solo fine di assicurarsi contro l'eventuale fallimento di questo governo.
Eh sì, perché a questa stregua l'esecutivo gialloverde riconosce a se stesso il dogma dell'infallibilità: se farà bene gli sarà riconosciuto, anche dai mercati; viceversa, il mancato riconoscimento sarà solo a causa del complotto europeo e dei fondi affamati di sangue. Manca del tutto, a priori, un'assunzione di responsabilità di fronte al Paese. Sostituita dalla presunzione che il sovranismo, come metodo di governo, abbia illimitati gradi di libertà e risponda esclusivamente ai sondaggi elettorali. Il che, in un mondo globalizzato e libero nei movimenti delle merci e dei capitali, non è.
I cosiddetti «mercati» non sono altro che l'autostrada sulla quale si muovono beni e quattrini; mentre la demoniaca «speculazione» non è che la benzina che fa muovere il tutto: fornisce la liquidità necessaria agli scambi. Dopodiché è chiaro che nessuno è fesso. Gli investitori stranieri hanno investito circa 500 miliardi in titoli del nostro enorme debito pubblico, quasi il 25% del totale. Il resto lo hanno messo banche e famiglie italiane. Ebbene: come si fa a pensare che, di fronte a scelte economiche sciagurate per il Paese, questi investitori non comincino a vendere? Non solo Btp, ma anche tutto il resto che ci rappresenta, a cominciare dai titoli bancari, a loro volta pieni di Btp. A pensarci bene non è così strano: se uno come noi investe mille euro nella Acme spa e poi legge da qualche parte che Acme aumenterà i suoi debiti per investire in attività a rendimento zero, cosa fa? Vende subito i titoli Acme e compra qualcos'altro.
Un po' come sta succedendo in queste ore in Turchia. Che, non a caso, è stata citata ieri da Giorgetti come altro esempio di attacco dei mercati. E non come la reazione di fronte a un governante che, dopo aver cambiato la Costituzione per poter controllare ogni potere dello Stato, aggiungendoci anche quello della Banca centrale, vede da mesi la fuga dei capitali verso lidi migliori. Il nostro caso è analogo: lo scetticismo dei mercati non dipende dall'inverosimile complotto delle élite, ma più banalmente dalla povertà dell'azione di governo nell'economia. Per esempio con il decreto Dignità del vicepremier Di Maio, una legge che, smontando tra l'altro il Jobs Act, ha raccolto il disappunto dell'intero nord produttivo. O con la guerra dichiarata da M5s a tutte le grandi opere, alla Tav, al Tap. A cui si è aggiunta la politica del «no» al rilancio dell'Ilva, nella quale il gruppo Arcelor è pronto a investire 4 miliardi. C'è poi la determinazione a smontare la legge Fornero. Operazione che, a seconda delle ipotesi, avrà un costo minimo nell'ordine dei 15 miliardi l'anno, ma che per il vicepremier Salvini si farà, «piaccia o no alla Ue». E ancora: la volontà di penalizzare la classe media, quella che consuma e risparmia, perché considerata troppo ricca (vedi il tetto alle pensioni sopra i 4mila).
Quando a settembre si dovrà scrivere la legge di bilancio, il combinato disposto di tutto ciò potrebbe far scappare gli
investitori (che già hanno portato lo spread di lidi tranquilli dei 180 punti ai 260). Ma non avranno bisogno di mettersi d'accordo tra loro. Nessun complotto. Semplicemente il buon senso di chi non vuole perdere i propri soldi.
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