Abbiamo troppa stima per il neo ministro della Transizione Ecologica, Roberto Cingolani, per non commentare una sua recente dichiarazione controversa. Cingolani è uno scienziato. Non dovrebbe essere intriso di climatismo: quell'ideologia che ha sostituito nel nuovo millennio il marxismo come strumento di critica radicale ai nostri modelli di vita. Nei giorni scorsi ha detto: «L'agricoltura intensiva pone problemi, ci ha consentito di vivere più a lungo ma ha comportato una notevole alterazione dell'ecosistema. La soluzione non è fermare il progresso, ma neppure fare quello che si vuole». L'ambiente, come è facile capire, non è né di destra né di sinistra. La natura è il luogo in cui viviamo e che non solo dobbiamo preservare, ma che dobbiamo anche controllare per poter non soccombere.
Eppure una delle notevoli alterazioni all'ecosistema, per usare le parole di Cingolani, che ha prodotto l'agricoltura moderna, che non è solo intensiva, è che su questo pianeta vivono quasi 8 miliardi di esseri umani. Varrebbe la pena scorrere una tabellina della popolazione mondiale per rendersi conto che nel 1800 i terrestri non superavano il miliardo. All'inizio del 900 erano 1,6 miliardi, per poi salire a 2,5 miliardi nel 1950. Il tasso di crescita della popolazione mondiale, da nutrire, riscaldare e istruire è cresciuto in modo esponenziale. L'agricoltura, e non solo, ha seguito questa crescita in modo stupefacente. Scollegare i due fenomeni non ha molto senso. Si potrebbe mettere in relazione, e molti scienziati lo hanno fatto, la produzione di energia e di cibo con la crescita della popolazione. Le due cose sono legate indissolubilmente.
Cingolani non si è fermato e ha aggiunto: «Sappiamo ha detto il ministro che chi mangia troppa carne subisce degli impatti sulla salute, allora si dovrebbe diminuire la quantità di proteine animali sostituendole con quelle vegetali. D'altro canto, la proteina animale richiede sei volte l'acqua della proteina vegetale, a parità di quantità, e allevamenti intensivi producono il 20% della CO2 emessa a livello globale. Modificando la nostra dieta, avremo invece un co-beneficio: miglioreremmo la salute pubblica, riducendo al tempo stesso l'uso di acqua e la produzione di CO2».
A questo proposito la risposta più documentata mi sembra quella di Luigi Scordamaglia, consigliere delegato di Filiera Italia: «Produrre un kg di carne bovina in Italia, secondo i dati Fao, comporta appena un quinto delle emissioni di CO2 rispetto allo stesso kg di carne prodotto in Asia o Usa». E continuano, da Filiera Italia: «Anche la quantità di acqua necessaria per produrre lo stesso kg di carne in Italia è pari a 1/20 di quella usata in altri Paesi». «Sempre stando ai dati ufficiali - prosegue Scordamaglia - la zootecnia in Italia incide inoltre per appena il 5,6% delle emissioni (report Ispra), contro livelli globali ben più alti, emissioni globali che nei decenni sono aumentate a fronte di un drastico dimezzamento della popolazione bovina italiana». E afferma: «senza contare che in Italia il consumo reale pro capite di carne è inferiore ai 100 grammi al giorno raccomandati dall'Oms, anche grazie al perfetto equilibrio della nostra dieta».
Le opzioni sono due. La prima è che Cingolani queste cose non le sappia: tenderemmo ad escluderlo.
La seconda è che, smessi i panni dello scienziato, strizzi l'occhio a quell'opinione pubblica che ha fatto del climatismo la sua bandiera. E in questo caso, per chi ha sempre apprezzato il rigore di Cingolani, sarebbe una cocente delusione.
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