"Raid e droni non servono Respingimenti assistiti senza aspettare Bruxelles"

Gianandrea Gaiani, direttore di "Analisi difesa" ed esperto di questioni militari analizza il caos in Libia: "La protezione dei confini è di nostra competenza"

"Raid e droni non servono Respingimenti assistiti senza aspettare Bruxelles"

Attacchi aerei, droni armati, operazioni con corpi speciali. Le stragi in mare e l'emergenza scafisti stanno spingendo la politica e i media a mettere sul tavolo le soluzioni più svariate. Quante di queste sono concretamente realizzabili? E a quale costo?

Il problema non è l'obiettivo, su cui tutti concordano, cioè fermare il traffico di disperati e affondare i barconi dei criminali, ma piuttosto lo strumento da usare. Possiamo subito escludere, anche se affascina molti, l'idea di inviare raid aerei, di elicotteri o di droni armati sulle coste libiche per colpire le imbarcazioni degli scafisti. Per quanto riguarda i droni, l'Italia ne possiede 12 e sono tutti da ricognizione. Armarli nell'immediato non è possibile perché Washington, che ce li ha venduti, non ha concesso l'acquisto dei missili a chi li ha acquistati, Gran Bretagna esclusa. La situazione dovrebbe sbloccarsi, ma saranno necessari comunque alcuni mesi.

Ma anche l'impiego di aerei ed elicotteri da combattimento è una scelta da scartare. «Non si può escludere il rischio di provocare danni collaterali - spiega Gianandrea Gaiani, direttore di Analisi Difesa ed esperto di questioni militari - I trafficanti punteranno a nascondere le loro preziose imbarcazioni vicino a obiettivi civili per fermare gli attacchi. L'esempio dell'operazione anti pirateria nell'Oceano Indiano dovrebbe scoraggiare azioni di questo tipo». Dopo la distruzione di numerosi barchini sulle coste somale da parte degli elicotteri delle flotte europee, infatti, i pirati minacciarono di trucidare gli ostaggi. «Facile immaginare - sottolinea Gaiani - che i trafficanti di uomini non avrebbero scrupoli nell'uccidere i migranti in caso di attacchi». Inoltre, gli scafisti mimetizzerebbero i loro mezzi, rendendone difficile l'individuazione.

Un'altra delle possibilità ventilate è quella di inviare reparti di forze speciali sulla costa per colpire gli scafisti e i loro mezzi. «L'impiego di forze terrestri - afferma il direttore di Analisi Difesa - comporta invece il rischio di scontri a fuoco con le milizie dei trafficanti, strettamente colluse con i terroristi islamici. Questo potrebbe causare perdite tra i militari e richiederebbe un vasto dispositivo aereo e navale per recuperare le truppe ed evacuare i feriti».

Non resterebbe perciò che il blocco navale al largo delle coste libiche. «Non parlerei di blocco navale - dice Gaiani - perché sarebbe un atto di guerra. L'obiettivo è invece limitato a bloccare i barconi di migranti. L'unica opzione ragionevole sono i respingimenti assistiti, come abbiamo sostenuto fin dall'avvio dell'operazione Mare Nostrum». Di che cosa si tratta? Dell'impiego di una mezza dozzina di unità della Marina Militare a ridosso della costa da dove salpano i barconi. «Una nave da sbarco portaelicotteri classe San Giorgio e 5 tra fregate, corvette e pattugliatori con elicotteri, droni e aerei da pattugliamento, per localizzare le imbarcazioni in partenza, e qualche centinaio di Fucilieri di Marina - spiega Gaiani - I migranti recuperati a poca distanza dalla costa, che non sarebbero provati da giorni di navigazione in condizioni disumane, verrebbero portati a bordo, visitati ed eventualmente curati e poi riportati a terra sotto la scorta dei Fucilieri. Le truppe italiane resterebbero sul suolo libico solo il tempo necessario per lo sbarco da eseguire in un'area sotto la protezione delle artiglierie navali». Questo consentirebbe la distruzione dei barconi oltre a frenare l'onda migratoria perché nessuno sarebbe più disposto a spendere migliaia di euro per restare bloccato in Libia.

Un'operazione impegnativa ma realizzabile in tempi brevi che, oltretutto, non richiederebbe il placet di Bruxelles perché sulle questioni di sicurezza nazionale la competenza è dei singoli Stati, come dimostrano le iniziative di Bulgaria, Malta e Spagna.

D'altronde anche l'Europa ormai ammette apertamente che la situazione non è più sostenibile e che i migranti non arrivano più da Siria e Iraq ma dall'Africa. «Partono per problemi economici - ha detto recentemente il direttore di Frontex, Fabrice Leggeri - possono e devono essere rispediti a casa loro».

Agire è solo questione di volontà. Politica, naturalmente.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica