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Il rapporto malato tra Renzi e la sinistra

A leggere le cronache politiche, e non solo, degli ultimi due anni una domanda è d'obbligo: ma che ci sta a fare Matteo Renzi con quell'agglomerato informe di populismo

Il rapporto malato tra Renzi e la sinistra

A leggere le cronache politiche, e non solo, degli ultimi due anni una domanda è d'obbligo: ma che ci sta a fare Matteo Renzi con quell'agglomerato informe di populismo, tardo massimalismo, pseudo ideologia e concentrato di ipocrisia che è l'ultima variante della sinistra italiana? Siamo di fronte, per usare la definizione di scuola della moderna psicologia, ad un rapporto malato. Ad una relazione in cui odi e rancori mai sopiti determinano nei due soggetti un continuo scambio di ruoli improntati al masochismo e al sadismo politico. In sintesi: mancano tutti gli ingredienti indispensabili per creare le condizioni di una collaborazione positiva. Non c'è fiducia, visto che nel Pd ormai è una costante interpretare ogni parola di Renzi al contrario. Non c'è solidarietà, dato che se qualcuno assalta le sedi di Italia Viva dalle parti di Enrico Letta non viene spesa neppure una parola di condanna. Non c'è un comune sentire, perché il Pd considera le battaglie di Renzi sempre di destra, mentre il leader di Italia Viva giudica quelle di Letta e compagni il retaggio di impostazioni ideologiche superate, memorie di un lontano passato. Insomma, Renzi e il Pd hanno molto per odiarsi e nulla per amarsi.

E in fondo non è neppure una novità: nella Storia i riformisti sono sempre stati il bersaglio della sinistra d'apparato, dei massimalisti, dei comunisti e dei post-comunisti. Dai tempi di Matteotti e Gramsci, a quelli di Bettino Craxi e il Pci in tutte le sue evoluzioni. Storie di emarginazioni, criminalizzazioni, financo, condanne etiche e, appunto, odi. Che hanno sempre avuto come epilogo l'eliminazione politica del riformista di turno e, in alcuni casi (vedi Craxi), anche di peggio. Ora non è che Matteo Renzi con le sue conferenze per il mondo e i suoi viaggi a Riad sia uno stinco di santo, ma mentre con lui la sinistra di oggi cerca il pelo nell'uovo, con i nuovi compagni di strada, i grillini, che secondo l'ex capo dei servizi segreti di Chavez beneficiavano dei petroldollari del Venezuela, chiudono entrambi gli occhi. E chi li accusa non è un pinco pallino: è come se Lavrentil Pavlovic Berija, per citare una storia che gli eredi del Pci conoscono bene, avesse squarciato il velo sui rubli dati da Stalin ai partiti comunisti fratelli.

La verità è che il Pd si rapporta con gli alleati, come il Pci con gli indipendenti di sinistra: ha poca tolleranza verso l'autonomia, sia sui contenuti (ddl Zan), sia sulle strategie. Pazientano solo con l'opposizione del Re: quelli che li criticano a parole ma poi puntualmente si accodano. E poco importa se il Pd dopo aver osteggiato Draghi al grido «o Conte, o morte», sia stato costretto da Renzi a trasformarlo in un nume tutelare. In quel mondo la lungimiranza è un'aggravante, si preferisce cento volte la sudditanza. Si tratti delle battaglie sulla giustizia, sul ddl Zan, sugli equilibri di governo o sul Quirinale.

Ecco perché Renzi dovrebbe farsi due conti di fronte a scelte decisive: o si emancipa dal rapporto con quel tipo di sinistra che lo odia; o se crede ancora alla comune appartenenza, dispiace dirlo, ma può già considerarsi spacciato.

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