Cronache

Ricette e certificati in dialetto: così il sindaco difende il Veneto

Il sindaco di Santa Lucia di Piave (Treviso), Riccardo Szumski ha predisposto i certificati di nascita e matrimonio in dialetto veneto. Idem per le ricette ai suoi pazienti.

Ricette e certificati in dialetto: così il sindaco difende il Veneto

A marzo scorso la prefettura lo aveva definito “sindaco non conforme”, per “atteggiamenti non conformi” da sindaco, ma lui, Riccardo Szumski, se n’è fregato e ha tirato dritto. È il primo cittadino di Santa Lucia di Piave, un comune della provincia di Treviso di poco più di 9 mila abitanti. E il sindaco è già finito parecchie volte sulle cronache per i suoi modi bizzarri e, diciamolo, anche per il suo coraggio. Difficile nell’era del politicamente corretto, quando tutto è vietato e ciò che è permesso è quello che il politically correct impone, andare contro corrente ed essere amato dai cittadini.

Lui, 66 anni, medico di medicina generale dell’Ulss 2 della Marca Trevigiana, era già rimbalzato nelle cronache nazionali quando aveva restituito al mittente, in questo caso il Viminale, il contributo che il Governo dà ai comuni per l’accoglienza dei profughi. “I soldi per l’accoglienza? – aveva detto Szumski – teneteveli!”. E infatti, detto fatto, il giorno in cui i soldi sono stati accreditati nel conto del Comune, Szumski li ha ritrasferiti al Governo, con tanto di lettera.

Ed è anche lo stesso cittadino che per alcuni suoi comportamenti bizzarri era stato definito “sindaco non conforme”, ed era stato invitato dagli organi stessi ad adeguarsi. L’allora prefetto Laura Lega, si era scagliato contro alcune "dichiarazioni palesemente offensive nei riguardi delle istituzioni statali", almeno così il prefetto le aveva definite. E a essere contestata anche la scelta del primo cittadino di indossare la fascia del Veneto. Ma lui è andato avanti per la sua strada. Anche nella vita professionale. Tanto da scrivere le ricette per i suoi pazienti in dialetto veneto.

“Se i pazienti mi parlano in italiano prescrivo i farmaci in italiano – dice Szumski - se parlano in dialetto li prescrivo in dialetto. Con quelli che mi parlano in lingua veneta, invece, uso la lingua veneta. Se alla signora Maria di 90 anni dico che deve prendere un farmaco a giorni alterni, mi chiede cosa significhi, se invece le dico “un dì sì e un dì no”, allora capisce. E infatti nelle ricette, ad esempio per la prescrizione di Prednisone Teva, si legge: “un al di par zincue di, dopo mesa al di par catro di, dopo te vien a controlo”, che tradotto vuol dire “una al giorno per cinque giorni, dopo mezza al giorno per quattro giorni, dopo vieni al controllo”.

E lui, nonostante il cognome del padre polacco e nonostante sia nato in Argentina dove i suoi erano emigrati, è più veneto che mai. Tanto che oltre alle ricette in dialetto, quando deve dare qualche comunicazione fuori dall’ambulatorio prepara gli avvisi bilingue: con la dicitura in italiano e in dialetto, anzi a volte solo in dialetto. “Serà par ferie dal 3 a l’8 de setenbre… se ve bisonjo andè da i altri dotori”, si legge. Che tradotto vuol dire: “chiuso per ferie dal 3 all’8 settembre, se avete bisogno andate dagli altri dottori”. O anche avvisi alquanto sarcastici: “Oggi pomeriggio studio chiuso per un obbligo burocratico dei medici di famiglia imposto dall’Ulss il lunedì pomeriggio. Che come tutti sanno è il giorno in cui avete meno bisogno del medico”.

Insomma un sindaco che non passa di certo inosservato. Ma che sa anche ben difendersi. L’Ordine dei Medici aveva rizzato le antenne per la questione delle ricette in dialetto e non aveva escluso un’indagine. Ma lui si è ben difeso:“hanno provato – dice al Giornale.it - ma la norma dispone che bisogna far capire la posologia al paziente, non scrivere in italiano. E con i pazienti al 90 per cento mi relaziono nella nostra lingua, traducendo anche le diagnosi ospedaliere. Il dialetto alcuni lo comprendono meglio”.

Tanto che ora, sono suoi i certificati di nascita e di matrimonio in dialetto. L’ultimo quello di matrimonio, pronto da martedì. Un certificato con sotto il gonfalone e lo stemma di San Marco, che porta la firma de El Mariga, ossia del sindaco e che porta la dicitura centrale: “Maridai in Veneto - sposati in Veneto". Poi ai due lati la scritta in italiano: “Sposati in Veneto” e per non sbagliare pure quella in inglese: “Married in Veneto”. Un certificato spiega il sindaco che sarà consegnato a quelli che si sposano in Comune e se ne fanno richiesta anche a coloro che si sposano in Veneto. Idem per ogni nuovo nato, con la consegna di un apposito certificato: “Nasest in Veneto – nato in Veneto”.

“La nostra lingua – ci spiega, intendendo il veneto – è la linfa della nostra quotidianità, del nostro modo di essere, dei nostri pregi e difetti, di una lingua che corre il rischio di essere parlata ormai più in Brasile che qua. Una storia millenaria che non può essere misconosciuta come fa il sistema scolastico italico. Stiamo facendo un gemellaggio con una cittadina vicino a Valencia. Lì il valenciano lo insegnano a scuola, assieme al castigliano ufficiale ed è cosa del tutto normale. Quando dico loro che da noi nemmeno è riconosciuto il veneto come lingua sbarrano gli occhi.

E parliamo della Spagna”.

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