Dunque ci teniamo il governo Renzi fino a fine legislatura, primavera 2018. Almeno così dice il premier, per il quale ora l'imminente referendum sulla riforma del Senato non è più uno spartiacque tra la vita e la morte del suo governo come aveva solennemente giurato solo pochi mesi fa.
Se dovessero vincere i «no», quindi, tutto rimarrà com'è, almeno nella testa del premier spaventato dai sondaggi che vedono i «sì» in grande difficoltà. Quelle di Renzi sono come sempre parole tattiche, nel suo agire politico non c'è mai stata relazione tra il dire e il fare. Probabilmente il premier vuole solo smorzare i toni della campagna referendaria, disinnescarla del suo elemento più gustoso, per altro da lui introdotto, cioè quello di una conta non sul Senato ma sulla sua leadership, dentro e fuori il suo partito. Capito che gli italiani non lo amano più, comunque non più come un tempo, smette i panni a lui cari dello spaccone e gioca a fare quello umile, aperto a qualsiasi soluzione decida il popolo sovrano.
Ovviamente le cose non stanno così. Primo per una questione formale non di secondo piano: se e quanto dura una legislazione non lo decide il premier ma il parlamento e il capo dello Stato. Però, questioni di protocollo a parte, nella sostanza una vittoria dei «no» decreterebbe automaticamente la fine del governo Renzi-Boschi, della sua credibilità e autorevolezza (ammesso che fino adesso le abbia avute) sia sul fronte interno sia su quello internazionale, esattamente come è accaduto a Cameron un attimo dopo la sconfitta nel referendum sulla Brexit da lui voluto. «Game over», come lui ebbe a dire a Silvio Berlusconi, roba da non uscire di casa per la vergogna, altro che «fine legislatura». Certo, alla sua minoranza e ai partiti di opposizione forse non ancora pronti a uno scontro elettorale, potrebbe fare comodo lasciare a quel punto un mite Renzi a Palazzo Chigi per tutto il tempo necessario. Ma sarebbe un fantoccio, una triste fine per un signore che fino a pochi mesi fa pensava di essere il nuovo duce.
Per cui, che cosa succederà la sera del referendum non lo decide oggi Renzi.
Lo decideranno prima gli italiani con il loro voto - mi auguro una maggioranza di «no» - poi le opposizioni e infine il presidente della Repubblica. Al premier non resterà che adeguarsi, o quantomeno scendere a miti consigli e forse - se proprio vorrà rimanere - a larghe intese.
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