Magari il mondo è impazzito davvero senza che ce ne accorgessimo. Eravamo convinti che non sarebbe potuto accadere. Che al massimo l'autocrate del Cremlino si sarebbe accontentato delle due repubbliche filorusse dell'Ucraina, cioè di quella regione ignota venuta improvvisamente alla ribalta sotto il nome di Donbass. E, invece, ha puntato direttamente su Kiev. E ora siamo increduli. La follia, o il calcolo cinico, di Vladimir Putin ci ha precipitato di nuovo nel «Secolo breve», il '900. Un ritorno al passato irrazionale quanto tragico. Un tentativo impossibile di riportare le lancette della Storia indietro, deponendo il governo di Volodymyr Zelensky e sostituendolo con un governo fantoccio filo-russo. Più o meno come fece l'Unione Sovietica con l'Ungheria di Imre Nagy o con la Cecoslovacchia di Alexander Dubcek. Solo che allora si trattava di Paesi satelliti dell'Unione Sovietica, mentre ora Putin vuole che l'Ucraina torni ad essere una propaggine della Russia, visto che nella sua storiografia è solo un'invenzione geografica - parole sue - di Lenin, Stalin e Gorbaciov. Insomma, non ha dignità di nazione.
Accampando queste tesi, Putin ha fatto scoppiare una guerra in Europa, a due passi dalla Polonia, il Paese che le mire espansionistiche di Hitler trasformarono nel «casus belli» della più crudele guerra mai combattuta sulla terra. C'è da sperare che la Storia non si ripeta, che l'interdipendenza che c'è al mondo d'oggi, le relazioni tra gli Stati e gli organismi internazionali impediscano una nuova tragedia.
Eppure, ad ascoltare la ratio con cui Putin ha accompagnato le sue decisioni, il pericolo è potenzialmente reale. Putin si ispira alla Russia degli Zar. Accantonato, per necessità, il comunismo l'ex spia del Kgb ha abbracciato il nazionalismo della Russia imperiale. Del resto, per tenere in piedi un regime autoritario c'è sempre bisogno di un'ideologia. E il nazionalismo esasperato serve all'uopo agli autocrati, poco importa che siano di destra o di sinistra. Basta lanciare uno sguardo, appunto, sul '900. E per tornare ai nostri giorni all'ossessione del regime cinese per Taiwan.
Il problema a questo punto è come possono difendersi le democrazie occidentali. La questione riguarda gli Stati Uniti che hanno abdicato frettolosamente al ruolo di guardiani del mondo - Trump è stato letale - e ora stanno scoprendo a loro spese che un nuovo ordine si sta imponendo, basato sull'asse Mosca-Pechino. Ma tocca da vicino, innanzitutto, il Vecchio Continente che sul piano politico è o non è. Non può continuare ad essere un testimone inerme dei fatti della Storia che avvengono ai suoi confini, per non dire al suo interno. Confidando magari nell'aiuto degli Usa, che o non c'è, o non basta più.
Se vuoi esistere sullo scacchiere mondiale, se vuoi essere il quarto polo accanto agli Stati Uniti, alla Russia e alla Cina, se vuoi essere davvero il partner di cui ha bisogno l'America per gestire i nuovi equilibri, devi assumerti le tue responsabilità: avere un esercito comune, un'unica voce, un'unica diplomazia. Devi aggiornare ai nostri giorni, declinandola al mondo d'oggi, una filosofia che in un passato lontanissimo ci fece grandi: si vis pacem, para bellum. Se vuoi la pace, prepara la guerra.
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