Percorro via Civitavecchia. Prima di arrivare in via Rizzoli, c'è una piccola strada laterale: via Cazzaniga. Scavalco un muretto. Davanti a me un fosso pieno di rifiuti. Un balzo ed ecco una finestra semiaperta. Basta un colpo, e la vetrata si spalanca. Entro. Il soffitto è squarciato, le pareti ammuffite, il pavimento ricoperto di immondizia. Scatto diverse foto.
Siamo in una stanza nella vecchia sede della Rizzoli. Uno dei palazzi che ha fatto la storia di Milano. Un simbolo non solo di avanguardia architettonica, ma - soprattutto - di avanguardia intellettuale.
Tutto ciò, ora, si è trasferito pochi metri più in là, nella nuova sede. Che fa venire i brividi per quanto è avveniristica. Ma il passato resta lì, a denunciare errori («refusi», visto che parliamo anche di una mecca del giornalismo), che le vicende di questi giorni fanno tornare d'attualità. Ma qui non parliamo di acquisizione o cessione di quote di una delle maggiori aziende editoriali italiane, piuttosto della rimozione di una memoria che non appartiene solo alla Rizzoli, ma al patrimonio culturale di un'intera città. E, con essa, di un'intera, nazione.
Inoltrarsi tra i corridoi ormai abbandonati di questo monumento all'informazione è un cazzotto allo stomaco. Lì dove fino a pochi anni fa c'erano scrivanie e computer, ora trovano rifugio sbandati di ogni tipo. Le tracce dei bivacchi sono ovunque: resti di cibo, abiti ridotti a stracci, siringhe, materassi, bombole di gas. Una discarica. Quella che un tempo era la guardiola del custode, oggi è un tugurio pieno di immondizia. Sul vetro la scritta «okkupa». E qualcuno quegli spazi li ha occupati davvero a giudicare dal via vai di ombre che si muovono tra i ruderi di quella che è stata la grande Rizzoli. Oggi la scritta che sormontava la facciata principale e solo uno scheletro di ferro.
Delle sette lettere che firmavano l'«insegna» RIZZOLI oggi non resta neppure una. L'edificio è in balìa dei vandali. E meno male che qualche anima buona ha pensato almeno di salvare il busto del fondatore, il commendator Angelo, trasferendolo nella hall della nuova tecno-sede, modello «Odissea nello spazio».
Gli architetti milanesi denunciano dal loro sito: «L'edificio da 4 anni è rimasto vuoto e in abbandono. Non si sa se esista un progetto di riqualificazione o ristrutturazione a riguardo, anche se sarebbe auspicabile, soprattutto per quanto riguarda la parte dell'ingresso, un capolavoro degli anni Cinquanta, scaturito dal genio di Piero Portaluppi che assieme a Gaspare Pestalozza tra il '57 e il '60 realizzò il palazzo e concepì la meravigliosa scala».
Modernità vs Archeologia. In via Rizzoli, a pochi metri di distanza tra i due quartier generali delle squadre, va in scena una sorta di derby calcistico-editoriale: entrambe proprietà dello stesso presidente. Club che però sembrano ormai figli di società diverse. Al numero civico 8 sgambettano i giocatori del futuro, al numero 6 si trascinano gli zombie del passato. Anime perse cui oggi si sono aggiunti i fantasmi (molto reali, però) dell'emarginazione metropolitana: disgraziati di ogni tipo che negli anfratti della vecchia Rizzoli hanno deciso di nascondersi al mondo. Tutta la facciata di fronte al centro sportivo Enotria di parco Lambro sembra la cartolina di una Beirut bombardata.
Dagli squarci nei muri entra il popolo dei disperati. Anche loro combattono una guerra. La sera, col coprifuoco, le finestre si illuminano di candele. Quella che un tempo era l'industria delle opinioni, oggi è solo una fabbrica di speranze. Tradite.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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