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Rossana, la ragazza comunista che negava foibe e stragi di Mao

Rossana Rossanda è stata la testimone scomoda del Partito comunista di cui ha ricordato e messo in piazza tutti i vizi nel famoso suo "album di famiglia", aggiungendone anche di suoi

Rossana, la ragazza comunista che negava foibe e stragi di Mao

Rossana Rossanda è stata la testimone scomoda del Partito comunista di cui ha ricordato e messo in piazza tutti i vizi nel famoso suo «album di famiglia», aggiungendone anche di suoi. Fu una intelligente e testarda dissidente ma questo non le impedì di compiere gesti politicamente tremendi come firmare l'appello degli intellettuali contro il commissario Luigi Calabresi nel 1980 accusandolo della morte dell'anarchico Giuseppe «Pino» Pinelli (cosa che costò la vita a Calabresi), dopo aver negato l'esistenza delle foibe lei che era nata in Istria - e nel 1957 aveva preso posizione contro lo scrittore Boris Pasternak premio Nobel per la letteratura di cui Feltrinelli aveva pubblicato il romanzo «Dottor Zivago» che aveva sconvolto le coscienze comuniste europee sulla realtà sovietica. Tuttavia, fece saltare i nervi a tutto il gruppo dirigente di Botteghe Oscure (la sede del Partito comunista) scrivendo e certificando la natura assolutamente comunista degli appartenenti alle Brigate rosse di cui conosceva e riconosceva la lingua, il pensiero, il modo di agire nel tentativo di conquistare il potere. Fu una dichiarazione pesante che distruggeva lo sforzo del Pci nel negare la paternità del terrorismo rosso, le cui azioni consistevano in una serie di esecuzioni di persone inermi, con una tecnica rozzamente copiata da quella dei Gap, i Gruppi di Azione Patriottica della resistenza romana guidati da Giorgio Amendola, Antonello Trombadori, Sasà Bentivegna e Carla Capponi. Naturalmente, i brigatisti non avevano un millesimo dell'audacia di quei combattenti comunisti che avevano agito in un reale stato di guerra. I brigatisti agivano invece all'interno del sistema delle garanzie di uno Stato democratico che non cedette mai alla tentazione di varare leggi eccezionali o addirittura come aveva proposto Ugo La Malfa alla reintroduzione temporanea della pena di morte. Ma la Rossanda fu generosamente onesta fino alla brutalità, incurante delle conseguenze inevitabili della marginalizzazione sua e dell'intero gruppo del Manifesto di cui fu una delle promotrici e che nacque sull'onda della contestazione del 1968: una contestazione radicale che affascinò e coinvolse molto la Rossanda e i suoi compagni.

Era nata a Pola nel 1924 quando la città era italiana, e aveva studiato poi a Milano laureandosi brillantemente in filosofia con Antonio Banfi, che sapeva bene di quali infamie è capace un regime comunista, sia nell'uso brutale della soppressione fisica, sia nell'uso costante della soppressione della verità. I dissidenti che fondarono il giornale Il Manifesto e insieme il movimento politico, erano «a sinistra» del Pci quanto ad analisi radicale della società, seguendo molti impulsi che venivano allora anche dalla scuola di Francoforte, ma avevano assunto una linea decisamente antisovietica specialmente dopo l'invasione della Cecoslovacchia nel 1968 che arrestò sotto i cingoli dei carri armati la mite Primavera di Praga di Alexander Dubcek. In quell'occasione l'Unità e la dirigenza del Partito comunista, colti di sorpresa durante le vacanze estive, emisero una piccola dose di protesta per l'invasione, che però fu subito colmata quando il destino della Cecoslovacchia fu definitivamente «normalizzato». Rossana Rossanda e i suoi compagni non ne volevano sapere di tutto questo e manifestarono la loro avversione radicale alle influenze sovietiche sul Pci.

Quando era una giovane attivista comunista, Palmiro Togliatti fu molto colpito dalla sua qualità culturale e la nominò responsabile della prestigiosissima sezione Cultura del partito, posizione che le permise di entrare alla Camera e poi per due volte al Senato. Ma la pubblicazione del suo saggio «L'anno degli studenti» nel 1968, con cui si schierava apertamente con i contestatori da sinistra, la portò rapidamente all'ostracismo insieme ai suoi compagni Luigi Pintor, Valentino Parlato e Lucio Magri. Furono tutti radiati dal partito (un po' meno che espulsi perché la radiazione contemplava, nella chiesa comunista, la possibilità di un ravvedimento attraverso l'autocritica). Fu così che nacque il Manifesto come giornale raffinato, dalla titolazione spesso geniale e la forma grafica modernissima, e il movimento omonimo che però rimase un movimento di élite intellettuale che non raggiunse alle elezioni del 1972 l'uno per cento. Il partito non andò bene malgrado i successivi innesti con quel che restava del vecchio Psiup e altri brandelli della sinistra che formarono il PdUP per il Comunismo, di cui la Rossanda fu una delle fondatrici. Intanto il Paese si avviava verso la triste e sanguinosa stagione del cosiddetto terrorismo, che era in realtà una guerriglia comunista che mirava a cercare e far crescere il consenso nelle fabbriche settentrionali, specialmente alla Fiat. Fu allora che il Pci di Enrico Berlinguer (che si era opposto alle radiazioni dei dissidenti) negò ai guerriglieri brigatisti la patente di comunisti, dichiarandoli anzi fascisti mascherati, creature dei servizi segreti e persino agenti del Mossad, pur di allontanare ogni responsabilità ideologica per le azioni e le parole della nuova sinistra armata.

Rossana Rossanda scrisse allora un geniale articolo, era il 1978, l'anno in cui Aldo Moro fu rapito, tenuto in prigionia e ucciso, in cui diceva fra l'altro: «Chiunque sia stato comunista negli anni Cinquanta riconosce di colpo il nuovo linguaggio delle Br. Sembra di sfogliare l'album di famiglia: ci sono tutti gli ingredienti che ci vennero propinati nei corsi su Stalin e Zdanov di felice memoria. Il mondo, imparavamo allora, è diviso in due. Da una parte sta l'imperialismo, dall'altra il socialismo. L'imperialismo agisce come centrale unica del capitale monopolistico internazionale» e poi: «Vecchio o giovane che sia il tizio che maneggia la famosa Ibm (la macchina da scrivere preferita dai brigatisti per i loro comunicati, ndr) il suo schema è veterocomunismo puro. Cui innesta una conclusione che invece veterocomunista non è: la guerriglia».

Quella fu veramente la goccia che fece traboccare il vaso. Macaluso, dalle colonne dell'Unità rispose stizzito chiedendo quale fosse l'album di famiglia della Rossanda, perché certamente non corrispondeva al suo, e la polemica montò aspramente. Rossana Rossanda sapeva meglio di molti altri nel Pci che cosa accadesse nei Paesi del «socialismo reale», dal momento che le sue terre di origine erano state devastate dalla macchina repressiva del maresciallo Tito quando ancora il dittatore jugoslavo era il pupillo di Stalin e dunque prima che rompesse il patto con Mosca nel 1948, cosa che permise a Togliatti di improvvisarsi da un giorno all'altro intransigente patriota nel rivendicare Trieste all'Italia.

Rossana Rossanda non ha mai ceduto le sue posizioni e nel 2012 abbandonò l'amatissima testata del Manifesto che aveva creato con gli antichi compagni, perché considerava impossibile dialogare con il gruppo della redazione.

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