C'è un momento, nei cicli economici, in cui il rumore di fondo l'entusiasmo, i proclami visionari, l'euforia degli investitori non riesce più a coprire il cigolio delle travi portanti. Oggi quel momento sembra essere arrivato. E non lo dice un pensionato della finanza o un profeta di sventure. Lo dice Sundar Pichai, il capo di Alphabet-Google, l'azienda simbolo della rivoluzione digitale: se scoppia la bolla dell'intelligenza artificiale a Wall Street, avverte, nessuno sarà risparmiato, nemmeno Google. Quando anche i colossi cominciano a parlare di irrazionalità, forse un dubbio dovrebbe sorgere: non sarà che ci siamo spinti troppo avanti, troppo in fretta? Negli ultimi mesi abbiamo assistito a una corsa sfrenata agli investimenti in intelligenza artificiale. Solo per il 2025, le imprese americane hanno messo sul piatto quasi 500 miliardi di dollari in nuovi data center. Una cifra che non ha precedenti nemmeno ai tempi della bolla dot-com. A questi numeri vertiginosi va aggiunto l'allarme energetico: la domanda di potenza richiesta dall'IA crescerà in modo spropositato entro il 2030, quasi quanto l'attuale capacità installata nel Regno Unito: Citigroup stima che ciò comporterà 2,8 trilioni di dollari di spesa incrementale. Una voragine. E qui torna un vecchio insegnamento: i cicli del capitale non mentono mai. Quando gli investimenti crescono a dismisura, quando nessuno sembra più interrogarsi sul ritorno effettivo, quando perfino i costi energetici o gli obiettivi climatici vengono sacrificati alla corsa all'oro digitale, allora l'eccesso è vicino. E l'eccesso, in economia, presenta sempre il conto.
Non è questione di essere contro l'intelligenza artificiale. Nessuno nega l'enorme potenziale trasformativo della tecnologia che sta riscrivendo il modo in cui lavoriamo, produciamo, organizziamo la conoscenza. Ma tra il potenziale e i ricavi effettivi passa una distanza che oggi in Borsa sembra ignorata. Per giustificare gli attuali multipli di prezzo in alcuni casi ormai sospesi nel vuoto servirebbero ricavi dieci volte superiori a quelli generati oggi dall'IA. E servirebbero in tempi rapidissimi, perché il ciclo di ammortamento di data center e chip è brevissimo: tre, forse cinque anni.
Qui sorgono alcune domande: e se la rivoluzione dell'IA, sebbene reale e straordinaria, stesse correndo più veloce della capacità delle aziende di monetizzarla? Se i flussi di cassa generati non riuscissero più a tenere il passo degli investimenti? Cosa resterebbe dei valori stellari delle società più esposte? E soprattutto: quanto a lungo potrà reggere un mercato che incorpora già oggi i profitti di un futuro che potrebbe arrivare solo tra dieci o venti anni? Non serve attendere il diluvio per capire che le prime gocce stanno cadendo.
Ed ecco la domanda cruciale: siamo forse nel 2000, quando esplose la bolla Internet? No, non siamo nel 2000. E non siamo nemmeno nel 2008. La differenza è sostanziale. Le imprese dell'economia reale sono decisamente più sane, molto meno indebitate. Non presentano squilibri strutturali profondi, e il loro ciclo di investimenti è più prudente. Le banche europee non tutte, ma la maggior parte entrano in questa fase con livelli di capitalizzazione che negli anni delle bolle precedenti erano impensabili. Sono vigilate, patrimonializzate, costrette a reggere scenari avversi. Quelle americane sono è vero più esposte ma, salvo qualche eccezione, lontane dalla fragilità pre-Lehman.
Ciò significa che il crollo, quando arriverà, potrebbe essere violento nei prezzi, ma non devastante nei fondamentali del sistema. L'onda d'urto colpirà le valutazioni, non necessariamente l'economia reale; o quantomeno, non con le stesse devastanti modalità. E qui entra in gioco il suggerimento di un grande saggio, Ennio Doris, spesso ripetuto ma oggi più valido che mai: nei grandi eccessi, la via d'uscita è osservare ciò che resta solido mentre tutti corrono nell'altra direzione. In breve, è il trionfo del posizionamento obliquo del portafoglio, quello che non rincorre la moda ma intercetta le sue conseguenze, come i facilitatori dell'IA, le situazioni particolari, l'energia nucleare, destinata a rispondere all'immensa fame di elettricità dei data center. Perfino i titoli tecnologici cinesi, oggi scambiati a multipli che ricordano più la prudenza europea che l'euforia americana.
Sì, il diluvio potrebbe essere vicino. Ma non porterà via tutto. Come spesso accade, spazzerà via gli eccessi e lascerà terreno fertile per una ripartenza meno irrazionale.
La rivoluzione dell'IA non si fermerà: forse semplicemente rifiaterà. E quando lo farà, chi avrà investito con disciplina - non inseguendo i multipli, ma guardando soprattutto ai fondamentali - potrà raccogliere i frutti.