Cronache

"Salviamo i bambini": così si combatte la "generazione gender"

A Perugia il convegno su gender e genitorialità promosso dal "Movimento per Perugia"

"Salviamo i bambini": così si combatte la "generazione gender"

"Salviamo i bambini" non è solo il titolo di un convegno. Si trasforma piuttosto nell'allarme di chi vede e testimonia il "disegno che c'è dietro" all'ideologia gender.

La preoccupazione di chi si oppone ai progetti di educazione sessuale che nascondono insegnamenti un'identità di genere slegata dalla realtà biologica dell'essere. Il rigetto per la mercificazione della donna nella compravendita di bambini con l'utero in affitto.

Si è parlato di questo, e non solo, al convegno promosso dal Movimento per Perugia, giudato da Carla Spagnoli, in collaborazione con il comitato "Difendiamo i nostri figli". Tra i relatori anche Maria Rachele Ruiu, referente nazionale di "Manif Pour Tous Italia" e Simone Pillon, avvocato consigliere nazionale del Forum delle Associazioni Familiari.

Ad aprire le danze è la dott.ssa Marinella Colombo: dopo essere vissuta da sposata in Germania, si è separata dal marito ma i tedeschi le hanno strappato i figli. Il Paese di Angela Merkel, infatti, produce carte false per trattenere i bambini in Germania e portarli via al genitore non tedesco. Lo Jugendamt è l'ente che si occupa della "tutela dei bambini" e che si inserisce nelle cause di separazione come un terzo (ingombrante) incomodo, facendo in modo - grazie alla legislazione tedesca connivente - di favorire sempre e comunque il genitore tedesco. Strappandolo a quello "straniero".

Ma cosa c'entra tutto questo con l'ideologia gender? C'entra, eccome. Perché la Germania è stato uno dei primi Stati europei a diventarne sostenitore. "La definizione di famiglia della società tedesca - afferma Colombo - è premessa e complemento alla mercificazione dei bambini".

Ma esiste davvero il gender? "Esiste eccome - ha spiegato con estrema chiarezza la dott.ssa Maria Rachele Ruiu - e non ho timori a chiamarla una ideologia il cui obiettivo è quello di destrutturare la differenza tra l'uomo e la donna", rendendo tutto relativo. "Per l'ideologia gender - aggiunge - essere uomo e donna non è un'evidenza oggettiva, ma il frutto di costruzioni sociali imposte dall'esterno (scuola, famiglia, società)". Sono quelle che i teorici del gender chiamano gli "Stereotipi di Genere" ("l'uomo non deve sparecchiare la tavola, la donna deve badare ai bambini") e che vengono volontariamente resi negativi per colpire la natura dell'uomo. L'individuo, dunque, non è più maschio o femmina ma può decidere di quale genere essere in ogni momento. Come se indossasse una giacca diversa ogni giorno: oggi donna, domani uomo, dopodomani chissà.

Inutile ripetere che le differenze tra maschile e femminile esistono e che solo "nel riconoscersi in uno e nel differenziarsi dall'altro" l'individuo trova completa formazione.

Il luogo perfetto per portare a compimento l'obiettivo di destrutturazione è ovviamente la scuola, "dove è possibile mischiare tutto e portare ad una crisi identitaria dei bambini". La dottoressa Ruiu porta un esempio: "In una scuola elementare di Roma - racconta - un bambino è tornato a casa affermando che esistono le femminucce, i maschietti e le stelline". Le stelline? "Sono quelli che non sanno se sono maschi o femmine", spiega il bambino alla mamma. E in quella scuola, già tre bambini si sono dichiarati "stellina". Anche nella #buonascuola il gender c'è. Eccome.

"Con queste teoria - aggiunge Simone Pillon - non si vogliono sdoganare le relazioni gay, ma creare una identità liquida". Da qualche giorno si sono inventati anche il "genere zucchina": parte della strategia, infatti, è quella di manipolare il linguaggio. "L'ideologia gender - aggiunge Pillon - trova le sue radici in filosofi del calibro di Hegel, Engel, Donna Haraway, Judith Butler e Teresa de Lauretis". Da tutto questo nasce "la barbarie dell'utero in affitto". Una pratica che - nei fatti - viene sdoganata dalla legge Cirinnà di (forse) prossima approvazione in Parlamento. La stepchild adoption, infatti, permette il riconoscimento di bambini alle coppie che "naturalmente non possono averne" ma che hanno soldi a sufficienza per comprare l'utero di una "surroga".

Nel silenzio, colpevole, delle femministe.

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