Guerra in Ucraina

Le "sanzioni" a Dostoevskij e la russofobia "a fin di bene"

Neppure il tempo di sentirsi di nuovo fieri di appartenere a un Occidente finalmente coeso e coerente nella risposta dura all'invasione russa, che subito le cose prendono una piega avvilente

Le "sanzioni" a Dostoevskij e la russofobia "a fin di bene"

Neppure il tempo di sentirsi di nuovo fieri di appartenere a un Occidente finalmente coeso e coerente nella risposta dura all'invasione russa, che subito le cose prendono una piega avvilente. E anche la sacrosanta battaglia per isolare il regime di Putin va in vacca, trasformandosi in una bega manichea da stadio, roba da «loro» cornuti, «noi» forti e puri.

Rimanendo in Italia, la situazione sembra preoccupante su due livelli, ed entrambi hanno a che fare con l'incapacità di commisurare l'indignazione al buonsenso. Il primo livello è quello di una montante russofobia «a fin di bene» che muove dalla convinzione (ineccepibile) di essere dalla parte giusta della storia. «Siamo tutti ucraini», e dunque è legittimo bullizzare il nemico a casaccio. Su queste basi, sindaci e istituzioni varie hanno iniziato a pretendere abiure da parte di privati cittadini russi. I quali, per il solo fatto di avere in tasca un passaporto di Mosca non possono lavorare se non «condannano» le violenze. Partendo da buone intenzioni democratiche, si arriva alle purghe illiberali e putiniane.

In primo luogo non si capisce da che pulpito questi novelli inquisitori, che si sentono investiti della missione di snidare il Male ovunque, si permettano di pretendere eroiche dichiarazioni di anti-totalitarismo da parte di cittadini di un Paese dove una parola sbagliata può costarti la carriera o la libertà. Soprattutto se si considera che gli stessi inquisitori sono molto meno baldanzosi nella denuncia pubblica quando un loro superiore, rettore o leader di partito commette un reato. Facile fare gli antiputiniani a Milano.

In secondo luogo, c'è qualcosa di inquietante nell'addossare le colpe di un regime alla popolazione, come se a guidare i tank fossero indirettamente i direttori d'orchestra o i soprani. Certo, è doveroso boicottare affaristi, politici, squadre sportive e aziende espressione del potere di Mosca, sospendere l'uso di inno e bandiera alle Olimpiadi e vigilare affinché le figure pubbliche come gli artisti non si trasformino in megafoni della propaganda dello zar. Ma qui si sta andando oltre. Che c'entra la gogna al singolo con il dovere civico di colpire Putin ovunque? Questo non è isolare un regime, ma è un gioco di ruolo: chi vuole sentirsi partigiano contro l'invasore ma senza gli inconvenienti del fango e delle pallottole, sceglie l'iconoclastia come hobby, come avanspettacolo social.

Il rischio però è che dalla Scala si arrivi al tennista e alla modella, fino al camionista e alla badante, scatenando una caccia alle streghe superficiale in cui ogni russo diventa un potenziale nemico della pace mondiale, come ogni giapponese sul suolo americano dopo Pearl Harbor. Con il risultato che, trattando da criminali migliaia di persone il cui eventuale (e privato) voto a Putin potrà essere causa di disapprovazione, ma non può essere condizione sine qua non per svolgere il proprio lavoro, farà sentire sotto attacco una comunità che ancor più si compatterà sotto l'egida di quel dittatore che diciamo di voler privare del suo consenso. Bel lavoro.

Il secondo piano è invece più ampio e parte dall'ormai drammatica incapacità generale di sostenere una posizione senza per forza trascendere nell'autocensura. Il caso del corso di letteratura su Dostoevskij cancellato dall'Università Bicocca «per evitare polemiche» è indicativo. Ma è anche utile, perché come i canarini nelle miniere ci avverte di quanto l'atmosfera culturale sia diventata irrespirabile. Il terrore di apparire «filo-qualcosa-di-brutto-e-cattivo» porta ad evitare qualsiasi riferimento a temi sensibili. E a creare anche una «no fly zone» dialettica di sicurezza, che bandisce non solo il tema (il conflitto russo-ucraino), ma anche qualsiasi discorso tangenziale (la letteratura russa). Sui social girano immagini di Ignazio La Russa ribattezzato Ignazio L'Ucraina e il bando per l'insalata russa o la fermata Moscova della metro, ma nulla può essere più ridicolo della rimozione di Dostoevskij da un ateneo, perché nulla spiega più efficacemente lo stato comatoso in cui stiamo scivolando. Ci stiamo trasformando in fanatici un tanto al chilo, che seguono le bandiere delle crociate come le mode, senza capire più cosa è utile e cosa dannoso, cosa è doveroso e cosa è cretino. Anzi, cos'è Idiota.

Sempre che citare un romanzo russo non ci renda complici di sterminio.

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