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Sardine nella rete da vecchia Dc

Sardine nella rete da vecchia Dc

«Le parole sono importanti», sentenziano morettianamente le Sardine, nel bel mezzo di una sterminata lettera. Ma se volessero davvero così bene alle parole, non ne avrebbero sprecate così tante per dire così poco. Ieri infatti le Sardine hanno spedito, attraverso Repubblica, un appello pubblico al premier Giuseppe Conte. Dopo mesi di incubazione, tramestii e supercazzole, arriva il primo documento ufficiale firmato dal movimento. Settemilaquattrocento battute, più di 1.100 parole, una lenzuolata infinita, farcita di banalità da sinistra emotiva, autocompiacimento da manifestante del sabato pomeriggio con la bicicletta con su scritto «no oil» e ovviamente quella spocchia di chi pensa di avere sempre ragione e tratta le plebi - in questo caso i populisti - con sommo disprezzo. Ormai più che radical chic sono «razzistal chic», infatti a un certo punto delirano: «Potremmo essere il popolo che avete sempre voluto». Certo, la razza superiore.

«Non chiediamo riconoscimenti, ma ascolto», scrivono le Sardine al premier, con malcelata finta modestia. Che è poi quell'ascolto che, molto democraticamente, volevano togliere ai populisti. Dopo infiniti ragionamenti, che sembrano la caricatura di un'assemblea d'istituto degli anni Novanta, del tipo «vogliamo essere l'argine laddove una certa politica genera macerie, legittima un linguaggio d'odio che colpisce chi non risponde a precisi schemi sociali di potere, disegna cornici entro le quali la diversità e la pluralità costituiscono un ostacolo invece che un'opportunità», arrivano al dunque. Ed è disarmante. I giovani del domani dicono le stesse cose dei vecchi di ieri. Tre parole d'ordine: Sud, sicurezza e dignità. Sembra il manifesto della Democrazia cristiana, invece è la rivoluzione delle Sardine.

Si parte dal Sud, che dev'essere aiutato a crescere (toh, non lo aveva mai pensato nessuno!). Come? Ovviamente non lo spiegano, non sono mica un partito... Poi si passa alla sicurezza. Ohibò! Però l'equivoco dura poco: è la «sicurezza di un lavoro e sul lavoro, sicurezza di assistenza sanitaria, sicurezza di accesso a un'istruzione di qualità», ma mai sicurezza del cittadino. Per carità, quella è roba da fascisti. E poi si riparte a bomba con il capolavoro programmatico: «Il terzo filo si chiama Dignità della Democrazia, ed è quell'arteria vitale che ogni giorno, nella vita di ogni cittadino, collega la libertà al rispetto delle regole, la vita reale a quella virtuale, e che può aiutare a capire la differenza tra la politica con la P maiuscola e i suoi innumerevoli surrogati». Non si capisce niente, ma a prima vista sembra il surrogato di un discorsetto in perfetto politichese. Antiquariato della politica.

Più che Sardine sono gamberi.

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