Cronache

Scattone rinuncia alla cattedra: "Mi si toglie il diritto al lavoro"

Condannato per l'assassinio di Russo, grazie a un regalino della Cassazione gli viene assegnata la cattedra di Psicologia alle superiori. Il passo indietro dopo le polemiche

Scattone rinuncia alla cattedra: "Mi si toglie il diritto al lavoro"

La riforma renziana della #buonascuola gli ha permesso di entrare in ruolo come insegnante di "Psicologia e tecnica delle comunicazione" all'Istituto professionale Luigi Einaudi di Roma. Ma Giovanni Scattone, già ricercatore universitario alla Sapienza con diverse pubblicazioni all'attivo, non ha retto le polemiche sull'opportunità di far sedere un omicida dietro a una cattedra. "Se la coscienza mi dice di poter insegnare - annuncia all'Ansa - la mancanza di serenità di induce a rinunciare all’incarico".

Nella fedina penale di Scattone c'è una condanna a cinque anni e quattro mesi (scontati tra carcere, domiciliari e servizi sociali) per l'omicidio di Marta Russo, studentessa della Sapienza morta nel '97 dopo essere stata colpita alla testa da un proiettile partito da una finestra della facoltà di Giurisprudenza dove Scattone lavorava insieme a Salvatore Antonio Ferraro, anche lui condannato. "È legittimo - aveva tuonato la madre della ragazza, Aureliana Russo - che Scattone si rifaccia una vita e guadagni ma dovrebbe cercare un altro lavoro. Non riesco ad immaginare che con quello che ha fatto possa insegnare a dei ragazzi". In realtà, dopo aver scontato la pena, Scattone ha "solo" goduto di un regali dalla Cassazione che non ha voluto applicare la pena accessoria di interdizione all'insegnamento. Così, dopo essersi iscritto a un concorso pubblico e averlo vinto, ha ottenuto la cattedra in un liceo romano.

I parenti di Marta Russo, le famiglie degli studenti e persino i futuri colleghi si sono uniti in un coro di proteste che hanno portato Scattone a fare un passo indietro. "Con grande dolore ed amarezza - dice - ho preso atto delle polemiche che hanno accompagnato la mia stabilizzazione nella scuola con conseguente insegnamento nell’oramai imminente anno scolastico. Il dolore e l’amarezza risiedono nel constatare che, di fatto, mi si vuole impedire di avere una vita da cittadino 'normale'". "La mia innocenza, sempre gridata - aggiunge - è pari al rispetto nei confronti del dolore della famiglia Russo. Ho rispettato, pur non condividendola, la sentenza di condanna. Quella stessa sentenza mi consentiva, tuttavia, di insegnare. Ed allora sarebbe stato da Paese civile rispettare la sentenza nella sua interezza". Quindi, Scattone confida di aver sempre creduto che per essere un buon insegnante si deve, in primis essere persona serena. "Oggi, in ragione di queste polemiche, non ho più la serenità che mi ha contraddistinto nei dieci anni di insegnamento quale supplente: anni caratterizzati da una mia grande soddisfazione anche e soprattutto legata al costruttivo rapporto instauratosi con alunni e genitori". Da qui la scelta di rinunciare all’incarico, anche "per rispetto degli alunni che mi sono stati affidati". Quindi conclude con un attacco frontale alle istituzioni: "Questo Paese mi toglie anche il fondamentale diritto al lavoro. Dopo la tragedia che mi ha colpito, solo la speranza mi ha dato la forza di andare avanti.

Anche oggi - conclude - vivrò con la speranza che un giorno la parte sana di questo Paese, che pure c’è ed è nei miei tanti ex alunni che in questi giorni mi sono stati vicini e nella gente comune che mi ha manifestato tanta solidarietà, possa divenire maggioranza".

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