Sofisticata e chic, simbolo di un made in Italy che è moda e non solo moda, ma anche una città che fatica a stare in scia che si mette in coda per il reddito di cittadinanza e fa i debiti per comprarsi a rate un'auto usata. Milano che «sciala» e Milano che arranca: e sembra un po' una strofa aggiunta a quel capolavoro di Lucio Dalla che la raccontava vicina all'Europa, piena di banche, che cambi, che ti fa una domanda in tedesco e ti risponde in siciliano... Anni fa ma anche oggi. Perché così vedono Milano gli americani che proprio la scorsa settimana, sul Wall Street Journal, l'hanno eletta come la metropoli più sofisticata al mondo. La mecca dello stile e dell'abbigliamento dove organizzare, senza badare a spese, il viaggio dei sogni. E ci sta. Da sempre l'Italian style fa breccia nel cuore degli yankee più avvezzi ai cappelli da cowboy e ai camperos che non alle giacche di Armani che il «gigolò» Richard Gere metteva in fila sul suo letto prima dei suoi appuntamenti galanti.
Ma se qualche decennio fa la meta preferita per il viaggio in Italia erano i casolari del Chianti tra ulivi e filari alla ricerca di un buon piatto di spaghetti, oggi la preferenza va ai grattacieli di Gae Aulenti e allo shopping nel Quadrilatero che alimenta il mito del nostro stile e del nostro lusso. Valore aggiunto di una città che però, come spesso accade alle grandi metropoli, va ancora a due velocità. E parlano i dati sul credito al consumo diffusi proprio ieri dall'Osservatorio di Facile.it e Prestiti.it che raccontano un'altra realtà, di una quotidianità dove l'italian style di molti quarantenni che vivono in città e «tengono famiglia» è quello di far quadrare i conti, di tirare la cinghia e arrivare a fine mese. Lo scorso anno tra città provincia i milanesi hanno chiesto in prestito 13mila euro a testa, 13mila e 189 per la precisione. Una bella cifretta da restituire in 67 «comode» rate che le famiglie hanno utilizzato perlopiù per comprarsi un'auto usata (il 20,5 per cento) o per ristrutturare la casa (il 19,9 per cento). Che fa un certo effetto. Ma Milano forse è sempre stata un po' così, «Milanin Milanon», come la raccontava Emilio De Marchi nella sua lettera a Carlo Porta chiedendogli, due secoli fa, se gli piacesse ancora la sua città: «Questo Milano Milanone è un cittadone...
Ti sembra Carlino che questo nostro Milano sia poi nostro? Quel Milanino dove si parlava milanese, quella lingua sincera e cordiale che adesso si vergogna di parlare, tace e si rintana in un angolo come se Milano fosse Turchia. Dove va, el mè Carlin, quel noster Milanin del noster temp?».Antonio Ruzzo
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