Anatoliy, l'immigrato eroe ucciso per sventare una rapina

All'uomo originario dell'Ucraina fu assegnata la medaglia d'oro al valor civile

Anatoliy, l'immigrato eroe ucciso per sventare una rapina

“Quest’uomo è un eroe”, continuavano a ripetere sbalorditi i carabinieri impegnati sulla scena del crimine. A terra, all’ingresso di un supermercato, c’era il cadavere di Anatoliy Korol. Era stato trafitto dai colpi di un’arma da fuoco esplosi mentre tentava di sventare una rapina. Era il 29 agosto del 2015. Anatoliy, 38 anni, era un immigrato presente regolarmente in Italia. Si spaccava la schiena come operaio edile, e così manteneva la famiglia, la moglie e le due figlie, con cui si era stabilito a Castello di Cisterna, piccolo comune di circa 7 mila abitanti situato nella provincia nord-orientale di Napoli. Era un instancabile lavoratore, uomo semplice e gentile, ormai da tutti considerato un compaesano, a tal punto che in città lo chiamavano “Antonio”. Era sbarcato nel Belpaese dall’Ucraina una decina di anni prima, sperando in un futuro migliore per sé e i suoi cari, come i numerosi immigrati di cui oggi tanto si discute. La sua storia, però, ha avuto un finale eccezionalmente diverso, drammatico e allo stesso tempo glorioso. Anatoliy ha perso la sua vita per proteggere degli italiani che nemmeno conosceva, personale e clienti che si trovavano nel negozio dove aveva appena finito di fare la spesa, a migliaia di chilometri di distanza dal suo Paese d’origine. Il suo sacrificio è stato rievocato ieri con una cerimonia pubblica a Castello di Cisterna.

Il gesto eroico

Quella sera di due anni fa mancava poco alla chiusura dell'attività commerciale. I clienti iniziavano a mettersi in fila alle casse. “Antonio” paga il suo conto e si accinge ad uscire. Appena fuori, incrocia due uomini con il volto coperto da caschi semi-integrali e il corpo completamente travisato da tute scure. Intuisce quanto sta per accadere. Prova invano a tirare per la borsa a tracolla uno dei rapinatori. Avrebbe potuto scappare, ormai era all’esterno. Ma dentro c’erano decine di persone. Decide quindi di rientrare. Pensa prima a mettere al sicuro la figlioletta di due anni nel cestino della bici con cui era arrivato al supermercato, poi torna indietro. Si fionda sul malvivente più grosso, l’unico che impugnava una pistola. Ingaggia con lui una lotta fisica per provare a disarmarlo. Non lo molla, la sua stazza glielo consente. A un certo punto riesce a fargli cadere l’arma. Giusto un attimo, rivelatosi fatale per Anatoliy. In quel frangente il complice, che fino a quel momento aveva provato a fargli allentare inutilmente la morsa, afferra la pistola e spara. Un colpo, due colpi. Il secondo arriva al cuore e lo spappola, lo confermerà poi l'autopsia. Anatoliy si ferma, non si muove più davanti agli occhi impauriti di coloro che voleva mettere in salvo e che erano rimasti inerti a guardare. Resta sul pavimento senza vita, con lo sguardo rivolto verso la sua bambina in lacrime. Per il suo omicidio furono fermati una settimana dopo Gianluca Ianuale, di 22 anni, e il 34enne Marco Di Lorenzo, figlio e figliastro del boss detenuto Vincenzo Ianuale. I carabinieri della compagnia di Castello di Cisterna li catturarono a Scalea, in Calabria, dove erano fuggiti il giorno dopo il tragico episodio. Rei confessi, hanno deciso da subito di collaborare con la giustizia. Le loro dichiarazioni sono finite in diverse ordinanze di custodia cautelare eseguite negli ultimi due anni dalle forze dell’ordine. A settembre scorso sono stati condannati in primo grado a 20 anni di reclusione, al termine di un procedimento penale che si è svolto con rito abbreviato e che ha visto anche altri due imputati, considerati complici dei presunti assassini: Emiliano Esposito, 42 anni, e il 50enne Mario Ischero, condannati rispettivamente alla pena di 20 anni e di 3 anni e quattro mesi di reclusione. Il processo d’appello è stato fissato per il prossimo 16 novembre in Corte d’Assise d’Appello di Napoli.

La commemorazione dopo due anni

Anatoliy per il suo gesto eroico è stato insignito, circa un anno fa, della medaglia d’oro al valor civile. Dimenticato il primo anniversario della sua morte, per il secondo, invece, l’amministrazione comunale ha organizzato un evento commemorativo. Per l’occasione, al centro polifunzionale di Castello di Cisterna, a poche centinaia di metri dal luogo del delitto, è arrivata la moglie di Anatoliy, Nadiya. Tra le lacrime ha ringraziato pubblicamente i presenti. Non ha voluto aggiungere altro. Non l’ha lasciata un attimo il titolare del supermercato in cui il marito è rimasto ammazzato. L’imprenditore le ha offerto il lavoro con cui oggi riesce a vivere e a mantenere nel vicino comune di Pomigliano d’Arco le sue figlie di 17 e 4 anni. C’erano poi numerosi rappresentanti di istituzioni locali, regionali e nazionali e di Libera. Ognuno ha ricordato il sacrificio di Anatoliy e ha espresso vicinanza alla famiglia. L’iniziativa è stata preceduta da una giornata ricca di polemiche. L’opposizione politica locale ha definito la manifestazione una «passerella di partito, tutta in stile Pd campano». Un Pd che ha piazzato le sue bandiere dove l'associazione Libera ieri mattina è andata a piantare un alberello in ricordo di Anatoliy. Nella diatriba una stoccata l’ha lanciata l’avvocato che assiste la famiglia Korol, Giuseppe Gragnaniello: “sovente la ‘politica’ non perde l'occasione di utilizzare anche gli alti esempi morali, per malcelati e molto meno nobili fini, che poco o nulla hanno a che spartire con la memoria dell'atto eroico”. Ad infuocare la discussione, poi, la decisione della giunta comunale di revocare la delibera con la quale la precedente amministrazione aveva stabilito di intitolare ad Anatoliy via Selva, la strada dove l’immigrato-eroe ha perso la vita e dove vivevano i suoi assassini.

Sui motivi di tale scelta il primo cittadino, Aniello Rega, non ha voluto proferire parola davanti alle telecamere. Con la sua squadra di governo ha preferito dedicare all’eroe un giardinetto pubblico collocato in un posto più periferico e sicuramente meno simbolico.

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