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"Se ne va un pezzo d’Italia". E l’Andrea Doria scomparve negli abissi

Nella notte tra il 25 e il 26 luglio 1956, la prua di un bastimento svedese squarciò il fianco del transatlantico italiano Andrea Doria. Le vittime, in totale, furono 51. Le operazioni di soccorso permisero di salvare tutti i superstiti. Ma per la nave della rinascita non ci fu nulla da fare e giace ancora sul fondo dell’Oceano

"Se ne va un pezzo d’Italia". E l’Andrea Doria scomparve negli abissi

"Un pezzo di Italia". Di quella laboriosa, delle grandi opere e dei grandi uomini. Così venne definito il transatlantico simbolo della rinascita italiana dopo la Seconda Guerra Mondiale. Era il 1951 quando, nel porto di Genova, fu varato l’Andrea Doria. Una città galleggiante, che accoglieva lusso, piscine, ristoranti e opere d’arte, una nave su cui tutti volevano viaggiare, da Anna Magnani ad Alberto Sordi, fino a Cary Grant. L’Andrea Doria rappresentava l'orgoglio italiano. Per questo, quando affondò il 26 luglio 1956, trascinò con sé negli abissi anche una parte del cuore degli italiani e di tutto il mondo.

Il transatlantico della rinascita

Durante la Seconda Guerra Mondiale, circa metà della flotta mercantile italiana era andata perduta, sia a causa della distruzione dovuta ai bombardamenti sul territorio, che alla militarizzazione. Anche le navi nate per il trasporto di merci o persone infatti venivano utilizzate per scopi militari. Per questo nel Dopoguerra si impose la necessità di ricostruire la flotta nazionale, per recuperare l’orgoglio italiano e incentivare la ripresa economica di un Paese in ginocchio. Così negli anni Cinquanta vennero commissionate due navi molto simili, che presero successivamente il nome di Andrea Doria e Cristoforo Colombo.

I lavori della prima iniziarono il 9 febbraio 1950, nei Cantieri Ansaldo di Genova Sestri Ponente. Al tempo era riconosciuta come la costruzione n.918: solo poche settimane prima del varo le venne dato il nome "augurale sul mare" di Andrea Doria, in onore dell’ammiraglio e condottiero della Repubblica di Genova. Il transatlantico faceva parte della Italia-Società di Navigazione, gruppo Iri-Finmare, conosciuta nel resto del mondo come Italian Line. Il 16 gennaio 1951 ci fu il varo della nave, alla presenza di una folla di persone che videro la bottiglia infrangersi contro una delle fiancate: "Sulle tribune erette a ridotto dello scalo era tutta la Genova elegante insieme alle solite personalità giunte da Roma - raccontò La Stampa - torno torno allo scalo era tutto il popolo: gli operai del cantiere – sono più di 20mila – le loro donne, i loro bambini". Era da prima della guerra infatti che non si assisteva a uno spettacolo simile.

Lunga oltre 200 metri, larga quasi 30 e dal peso di oltre 29mila tonnellate (stando alle misure riportate dal Comparision Chart), l’Andrea Doria era un concentrato di lusso e comodità: a bordo erano state installate tre piscine, quattro cinema, telefoni in ogni cabina e tutti i locali erano dotati di aria condizionata. L’arredo fu affidato ai migliori architetti dell’epoca e a scultori e pittori, autori di vere e proprio opere d’arte. Strutturata su 11 ponti, la nave poteva ospitare fino a oltre 1.800 persone, tra equipaggio (563 ufficiali e membri del personale) e passeggeri, divisi nelle tre classi: 218 in prima classe, 320 in cabina e 703 in turistica.

Ma l’Andrea Doria non era solo estetica e bellezza. Il transatlantico poteva raggiungere la velocità di crociera di 23 nodi, arrivando fino a un massimo di 26,44. Anche la sicurezza venne messa al primo posto, tanto che a bordo trovavano posto tecnologie e sistemi di sicurezza di ultima generazione: 12 compartimenti stagni, con relative porte, scafo a doppio guscio nella zona del motore e un radar potente, quello che venne definito dalla testata Mondo Libero, in un documento raccolto dall'Archivio Luce, "l’occhio che vede l’invisibile anche se c’è foschia, anche se la nebbia più spessa ovatta la superficie dell’acqua". Ma questo non basterà a salvare l’Andrea Doria e sarà proprio a causa della fitta nebbia che il transatlantico della rinascita si inabisserà.

L'ultima traversata

La turbonave aveva compiuto il suo viaggio inaugurale il 14 gennaio 1953, partendo da Genova, sotto la guida del comandante Piero Calamai. L’Andrea Doria avrebbe viaggiato lungo la "rotta del sole": da Genova a Cannes, poi Napoli, uno scalo a Gibilterra e infine la traversata dell’Oceano Atlantico, con l’arrivo a New York a una settimana dalla sua partenza.

Il 17 luglio 1956 l’Andrea Doria partì da Genova alla volta di New York. Il giorno successivo, dopo la tappa a Cannes, la nave arrivò a Napoli e il 20 luglio a Gibilterra. Poi lasciò la costa, per dirigersi verso l’Oceano Atlantico, verso New York, dove il suo arrivo era previsto per le ore 9 del 26 luglio. "Il capitano Calamai annotò sul suo diario di bordo: un totale di 1.134 passeggeri (190 di prima classe, 267 di cabina e 677 di classe turistica), 401 tonnellate di merci, 9 automobili, 522 bagagli e 1.754 sacchi di posta". Questo il carico della nave, come riportato dal sito web fondato da uno dei sopravvissuti. In totale a bordo c’erano 1.706 persone: 572 membri dell’equipaggio e 1.134 passeggeri.

Fino a quel momento, il viaggio si era svolto come sempre. Ma l’Andrea Doria non arriverà mai a destinazione. Il suo viaggio si interruppe la sera prima del giorno previsto per l’attracco a New York quando, a causa della fitta nebbia, si scontrò con un piroscafo svedese, lo Stockholm, che gli provocò uno squarcio di decine di metri. La prua dello Stockholm, rinforzata per poter operare anche come rompighiaccio, non lasciò scampo al transatlantico italiano, che si inabissò, 11 ore dopo l’impatto, finendo per sempre sul fondo dell’oceano. Quella fu una notte di terrore e disperazione, ma fu anche una notte di miracoli e speranza.

L'impatto

"Notte tra il 25 e il 26 luglio 1956. Gli orologi segnano le 11 di notte. 4.20 ora italiana. Un tremendo urto. Le luci si spengono e urlano nel buio le sirene". Così venne dato l’annuncio dell’impatto tra il transatlantico italiano e il piroscafo svedese. Quella sera, l’Andrea Doria stava navigando verso New York, dopo aver passato la nave faro al largo dell’isola di Nantucket, a Est della Grande Mela, dove era iniziata a comparire una nebbia che, col passare delle ore, era diventata sempre più densa. Per questo il comandante dell’Andrea Doria e i suoi ufficiali si erano affidati al radar e avevano cominciato a emettere avvisi sonori a cadenza regolare, per segnalare la propria presenza.

Quello stesso giorno, la Stockholm era partita da New York, diretta in Svezia. Al comando c’era Gunnar Nordenson, esperto marinaio, ma al momento dell’impatto, la nave era guidata dal terzo ufficiale di coperta, Johan Esnst-Johannsen Carstens. Entrambe le navi si videro sui rispettivi radar, ma le manovre che entrambi fecero per cercare di evitare l’impatto, compresa un’ultima e disperata virata a sinistra del capitano Calamai, non servirono a nulla. E alle 23.09 del 25 luglio 1956 la Stockholm colpì l’Andrea Doria sul fianco destro, squarciandolo per quasi tutta la sua lunghezza.

La prua della nave svedese portò la morte per 45 persone, che si erano già coricate nelle proprie cabine e vennero sorprese nel sonno da quel terremoto marino. Un’altra bambina morì successivamente, a causa delle ferite riportate dopo essere stata lanciata dal padre su una scialuppa, nel disperato tentativo di salvarla. Cinque invece i morti sulla Stockholm. L’impatto causò lo sfondamento di numerose paratie stagne nel transatlantico italiano, provocando l’imbarco di centinaia di tonnellate di acqua di mare, che fece inclinare la nave sul fianco destro.

A quel punto, il destino dell’Andrea Doria era ormai segnato: "Necessitiamo di assistenza immediata", trasmise il radiotelefono del transatlantico quando, pochi minuti dopo la collisione, lanciò un Sos.

Il naufragio

Diverse ore prima dell’incidente, un transatlantico francese, l’Île de France, aveva superato la nave faro di Nantucket ed era in viaggio verso l’Europa. Quando ricevette la richiesta di Sos però, il comandante Raoul de Beaudéan diede ordine di invertire la rotta. Nel frattempo sull’Andrea Doria si cercava di mettere in mare le scialuppe e portare in salvo i superstiti, ma l’inclinazione della nave, che si faceva sempre più acuta, non permise l’utilizzo delle lance (circa metà) posizionate sul lato sinistro. Anche per questo, le operazioni di salvataggio furono molto difficoltose.

Nonostante altre due navi fossero accorse sul posto, a dare speranza ai naufraghi fu l’arrivo del l’Île de France, molto più grande e con numerose scialuppe a disposizione, che giunse sul posto intorno alle 2 di quella notte. La nave, fatta illuminare a giorno dal comandante, rassicurò passeggeri ed equipaggio del Doria e permise lo svolgimento delle operazioni di salvataggio, affiancata da altre quattro navi americane, oltre che dalla Stockholm. Tutte le persone ancora vive a bordo del transatlantico furono tratte in salvo, in una delle più grandi operazioni di soccorso marino della storia. Tra le vittime scampate all’incidente ci fu anche Linda Morgan, soprannominata poi "la ragazza del miracolo", che dormiva in cabina insieme alla sorella, dispersa. Linda, invece, venne ritrovata viva a bordo della Stockholm: la prua penetrata nel Doria l’aveva “prelevata” e trasportata sul bastimento.

Mentre si svolgevano le operazioni di soccorso, l’inclinazione della nave simbolo della rinascita italiana aumentava, nonostante gli sforzi degli addetti alla sala macchine, che fecero di tutto per mantenere attiva l’elettricità fino alla fine e che permisero di evitare l’affondamento della nave prima del completamento dei soccorsi. Poi, alle 5.10 del 26 luglio 1956, 10.10 ora italiana, l’Andrea Doria si inabissò: le luci di emergenza ancora accese, il suo nome e quello di Genova ancora luccicanti sulle eliche. "Un pezzo d’Italia se n’è andato, con la terrificante rapidità delle catastrofi marine e ora giace nella profonda sepoltura dell’oceano - scrisse Dino Buzzati il giorno dopo la tragedia - Era un pezzo dell’Italia migliore, la più seria, onesta, tenace e operosa". L’ultima scialuppa a lasciare il luogo dell’impatto fu la lancia n.11: a bordo c’erano il comandante Calamai e altri membri dell’equipaggio che vegliarono il transatlantico fino alla fine.

Il processo

Il processo successivo all’incidente, svoltosi a New York, non arrivò a una verità, dato che le parti conciliarono, contribuendo entrambe al risarcimento delle vittime. Nel corso delle udienze emersero due versioni differenti. Secondo gli svedesi, sul luogo al momento dell'impatto non c'era nebbia, mentre a detta degli ufficiali italiani (e di diverse navi che passarono dal lì) era scesa sul mare una fitta nebbia, che rendeva difficile la visibilità. Inoltre gli svedesi accusarono gli italiani di non aver valutato adeguatamente la posizione dello Stockholm e di non aver seguito il codice marittimo internazionale, che impone la virata a dritta (destra). Ma l'Andrea Doria aveva virato a babordo (sinistra) solamente per cercare di evitare la nave svedese che, in quel momento, era condotta da un timoniere inesperto e dal terzo ufficiale, per la prima volta solo al comando di una nave. Le due parti però arrivarono a un accordo e il processo venne interrotto.

Anni dopo, uno studio di un esperto navale americano, John Carters, giunse ad altri risultati: basandosi sui tracciati di rotta delle due navi, lo studioso sostenne che la nave svedese aveva effettuato una brusca virata in direzione del Doria, credendo che il transatlantico italiano fosse più lontano, a causa di una sbagliata interpretazione del radar.

Si scoprì successivamente, come rivela un documentario di History Channel, che già nel 1957 il Ministero della Marina aveva effettuato un’inchiesta sul naufragio, concludendo che gli ufficiali italiani non avevano responsabilità: "La commissione, vagliati tutti i fatti non ravvisa pertanto deficienze perseguibili a carico degli Ufficiali dell'Andrea Doria", si legge nei fogli dell'inchiesta mostrati nel documentario. Non solo. Secondo l'inchiesta, "ci sono stati magnifici episodi di coraggio e di abnegazione, per cui si può affermare che il comportamento del personale è stato nel suo insieme degno delle migliori tradizioni della marineria italiana".

Scene di eroismo che avevano contribuito a salvare i superstiti dell'ultimo viaggio dell'Andrea Doria, la nave italiana che ha rappresentato la rinascita, ma che è stata anche simbolo di un modo di viaggiare nuovo, che resterà per sempre scolpito nel tempo.

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