Tutta la fragilità di un ceto "sterile"

Il ceto medio forma dunque l'asse portante della società italiana e ne riflette i caratteri essenziali da diversi punti di vista: demografico, sociale, economico e territoriale

Tutta la fragilità di un ceto "sterile"

Il «ceto medio» è senza dubbio una componente che nel nostro Paese, oltre ad avere un peso demografico e un ruolo doverosamente determinante, dimostra di possedere anche un diffuso senso di appartenenza. In proposito, il recente Rapporto Cida-Censis valuta che si sentano ceto medio ben due terzi degli italiani, una quota che trova oggettiva conferma nella percentuale di soggetti che secondo la definizione di ceto medio proposta dall'OCSE vivono in famiglie con un reddito compreso tra il 75% e il 200% di quello mediano e che risultano essere, per l'appunto, circa i due terzi del totale.

Il ceto medio forma dunque l'asse portante della società italiana e ne riflette i caratteri essenziali da diversi punti di vista: demografico, sociale, economico e territoriale. I dati mostrano come i nuclei familiari del ceto medio siano più spesso rappresentati da capifamiglia maschi che - in linea con quanto si rileva per l'intero universo familiare - si collocano in particolar modo sia nella fascia d'età attorno ai 50 anni, sia oltre il confine dei 65 anni. Essi presentano, con frequenza leggermente superiore alla media, un titolo di studio elevato con circa quattro diplomati e due laureati ogni dieci - e sono più spesso in condizione professionale come lavoratori dipendenti o come ritirati dal lavoro. Rispetto alle condizioni economiche, già uno studio di un paio di anni fa metteva in luce come la quota di reddito degli appartenenti alla middle class italiana si fosse ridimensionata nel passare dal tempo della crisi finanziaria (2008) a quello della crisi pandemica (2020), scendendo dal 65,5% al 62,3% sul totale dell'intera popolazione. Riguardo all'aggiornamento post Covid, i dati del rapporto Cida-Censis segnalano che per poco più della metà delle persone del ceto medio (54,1%) il reddito negli ultimi tre anni è rimasto invariato, mettendo anche in luce come la frequenza di coloro che hanno peggiorato la loro situazione reddituale (26,2%) sia stata superiore a quella di chi l'ha migliorata (19,8%). Si rileva altresì come, nello stesso triennio, i consumi siano diminuiti per il 44,9% delle persone, mentre risultano essere aumentati solo per l'11,1%. Tali elementi di criticità sembra persistano anche nella visione di scenario a breve termine. Si osserva infatti che il 47,1% del ceto medio prevede per il prossimo triennio stabilità ai livelli attuali per i propri redditi, mentre il 33,5% intravvede un peggioramento e solo il 19,4% valuta condizioni migliori.

Di fatto, i destini della middle class italiana, così come quelli dell'intera nostra società, hanno seguito e sembrano tuttora in linea con la dinamica, e la relativa problematicità, sia della congiuntura economica - ieri animata dai dissesti finanziari e oggi dalle turbolenze geopolitiche , sia di quella demografica, stretta nelle morse di un inverno che sembra persino più rigido proprio per chi non è né ricco né povero. Non a caso, nelle pagine del rapporto Cida-Censis si legge che la metà dei genitori che si autodefiniscono di ceto medio ritiene che i figli avranno una peggiore condizione economica, mentre solo poco più di un quarto (27,7%) pensa che sarà migliore. Ciò vale a conferma di una generale visione pessimistica del futuro, che certo non agevola scelte e atteggiamenti culturali che siano capaci di favorire l'auspicabile azione di contrasto all'imperante denatalità. In conclusione, se è vero che dai dati statistici emerge l'indiscussa importanza del ceto medio e la centralità del ruolo che esso è chiamato ad assumere nella realtà economica e sociale del nostro Paese, è anche vero che dagli stessi dati emergono numerosi elementi di criticità.

I redditi a crescita lenta, quando non in calo in termini reali, i consumi spesso contenuti per far quadrare i bilanci familiari e, sullo sfondo, uno stato di insicurezza per sé, ma soprattutto per le nuove generazioni. Sono tutti sintomi di un malessere che vede nella sempre più frequente «fuga all'estero» dei giovani figli del ceto medio una manifestazione evidente della ricerca altrove di quell'ascensore sociale che da noi ha smesso di (o fatica a) funzionare come dovrebbe. D'altra parte il Rapporto Istat 2025 ci ha appena ricordato che sono stati 23mila i giovani laureati che nel 2023 sono andati all'estero, trasferendo sui sistemi economici concorrenti competenze acquisite con le risorse del nostro Paese. Per fronteggiare le criticità e recuperare fiducia nel futuro e progettualità, le famiglie del ceto medio si aspettano azioni concrete, sia attraverso interventi fiscali che sostengano i redditi e stimolino l'accesso agli strumenti del welfare complementare, sia con una trasformazione culturale che sappia valorizzare le competenze e il merito.

In tal senso sarà importante saper creare le condizioni, non solo per dare il giusto riconoscimento a quelle componenti, giovani e donne in particolare, che oggigiorno trovano spesso difficoltà e penalizzazioni, ma sarà altrettanto fondamentale non perdere le

esperienze e le capacità accumulate negli anni da quei «diversamente giovani» che, giunti oltre la soglia del pensionamento, si rendono disponibili ad operare e trasferire al sistema Paese le loro spesso qualificate competenze.

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