Scena del crimine

Rapita, schiavizzata e stuprata per 8 anni: l'orrore su Natascha

Natascha Kampusch fu rapita all'età di 10 anni: dopo anni di prigionia, sevizie, abusi e umiliazioni, riuscì a fuggire diventando un simbolo di libertà

Rapita, schiavizzata e stuprata per 8 anni: l'orrore su Natascha Kampusch

Trattata come una schiava, rinchiusa in un cubicolo, abusata in mille modi, lasciata digiunare senza che avesse il controllo del suo corpo, dei ritmi sonno-veglia, apparentemente della sua stessa volontà. Apparentemente, perché quel 23 agosto 2006, la volontà di Natascha Kampusch si è palesata al mondo intero. E il suo nome è riconosciuto da molte persone perché a 10 anni Natascha fu rapita e tenuta segregata per moltissimo tempo, ma alla fine riuscì a fuggire e soprattutto riuscì a costruirsi una vita a sua misura, una vita in cui nessuno ne avrebbe leso mai più la dignità di essere umano.

Il rapimento

Vienna, 2 marzo 1998: come ogni mattina, Natascha Kampush esce dalla casa materna per recarsi a scuola e viene rapita da un uomo che la tiene segregata per 8 anni. La sua vita non era facile neppure prima. La madre l’ha avuta da un compagno con cui poi ha interrotto la relazione. Madre e figlia vivono una relazione abusiva fatta di botte e lividi. La bambina vede il padre periodicamente, in base agli accordi tra i genitori, ma quando il padre la riporta a casa in ritardo Natascha viene picchiata, come riporta Giornalettismo. Alla Procura di Vienna giunse questa testimonianza da un anonimo, che riteneva che Natascha avesse paura che, fuggendo dal suo aguzzino prima della maggiore età, sarebbe stata riportata dalla madre: “Lei ha aspettato di diventare maggiorenne prima di scappare. Solo così era sicura che lei, una volta tornata libera, non sarebbe stata spedita in un istituto per minorenni oppure sarebbe stata costretta a tornare alla sua tragica famiglia. È molto probabile che abbia riflettuto a lungo, preferendo la sua nuova vita accanto al suo rapitore piuttosto che un ritorno al passato”. Ma si tratta solo di una teoria.

Quel 2 marzo 1998, un disoccupato all’epoca 30enne, di nome Wolfgang Přiklopil, rapisce Natascha Kampusch portandola via su un furgone fino alla propria casa. “Stavo camminando verso la scuola - raccontò in un’intervista a Gente nel 2011 - vidi quel furgone bianco, e quell’uomo. Ebbi una paura irrazionale, ricordo la pelle d’oca. Ma mi dicevo tra me: ‘Niente paura, niente paura’. Quante volte mi ero vergognata della mia insicurezza: avevo 10 anni, vedevo gli altri bambini più indipendenti. Ero piccola, in quell’istante mi sentii sola, minuscola, impreparata. Ebbi l’impulso di cambiare lato della strada, non lo feci. Poi i miei occhi incontrarono quelli di quell’uomo, erano azzurri, aveva i capelli lunghi, sembrava un hippy degli anni ‘70. Pensai che lui sembrava quasi più debole di me, più insicuro. Mi passò la paura. Ma proprio quando stavo per superarlo lui mi prese, mi lanciò nel furgone. Non so se gridai, se mi difesi. Non lo so, non lo ricordo”.

Una testimone oculare raccontò di aver visto Natascha trascinata sul furgone da due uomini, ma su questa testimonianza sono seguite notizie contrastanti: la donna, ieri una ragazzina più o meno coetanea di Natascha, continua a sostenere la sua testimonianza, che però è stata più volte smentita dalla polizia. Per molto tempo ci si è chiesti in effetti se Přiklopil fosse stato aiutato da qualcuno, ma questo interrogativo non ha risposta. Quel che è certo è che per Natascha si aprirono le porte di un inferno, di una cella che fu la sua prigione per ben 8 anni.

La prigionia

Přiklopil fece di Natascha Kampusch la sua schiava: la costringeva a farsi chiamare “padrone”, sebbene lei si oppose sempre a questo. La costringeva a lunghi digiuni, accendeva e spegneva a proprio piacimento le luci della cella - un rifugio antiaereo delle dimensioni di 3 metri per 4 con altezza 1 metro e 60 centimetri, che si trovava sotto il garage di una casa in campagna quasi al limite con la Slovacchia - in cui la giovanissima era rinchiusa. In casa dell’uomo furono trovate, come riporta Fanpage, dei filmini che ritraevano la ragazza mentre correva nuda, pelle e ossa, su e giù per le scale. E non mancarono gli abusi sessuali. Le fece inoltre credere che i suoi genitori fossero in carcere. Non poteva guardare il suo aguzzino negli occhi, o sarebbe andata incontro a punizioni dolorose e umilianti.

Mi chiuse dietro porte pesanti - raccontò Natascha ancora a Gente - alla prigione fisica aggiunse quella psichica. Volle anche che cambiassi nome, me ne fece scegliere un altro. Divenni Bibiana, voleva che io fossi una persona nuova, solo per lui. E io iniziai a ringraziarlo per ogni piccola concessione. Mi diceva: ‘Per te esisto solo io, sei la mia schiava’”.

La fuga

Mano a mano che gli anni trascorrevano, Přiklopil concesse a Natascha Kampusch qualche piccola libertà. Come nel giorno della fuga: l’aveva fatta uscire in giardino perché lei gli lavasse l’automobile. Ma, mentre Natascha maneggiava l’aspirapolvere per pulire gli interni della vettura, si aprì miracolosamente uno spiraglio per scappare. Lasciò l’aspirapolvere e il resto è storia, quasi un film dal montaggio veloce. “Il telefono che squilla - spiegò a Gente - Přiklopil che risponde e dice Come, prego?’. Si allontana. Io sono di pietra, mi sono detta tante volte: ‘Devo scappare, devo scappare’. Però sono bloccata. Poi quasi mi urlo nella testa: ‘Se fossi stata rapita ieri, cosa farei? Scapperei, scapperei via lontano, via, via’”. Nell'istinto animale tra fuga e lotta, quel momento Natascha scelse la fuga e fu la sua salvezza.

Natascha fermò un passante, gli disse il proprio nome: "Mi chiamo Natascha Kampusch". E così è terminato il suo incubo. All’inizio Přiklopil cercò di inseguirla, ma immediatamente dopo la fuga della ragazza, trovò il suicidio, gettandosi sotto i binari di un treno.

Dopo la fuga

Natascha Kampusch ottenne a titolo di indennizzo la casa di Přiklopil, cosa che secondo gli psicologi le sarebbe stata utile alla ripresa di una vita normale. La giovane è diventata intanto una conduttrice televisiva, si occupa di beneficienza, ha lanciato una sua linea di gioielli e soprattutto ha scritto un libro, che in Italia è uscito con il titolo “3096 giorni”, che prende spunto dalla durata della sua prigionia. Prigionia che fu, come lei stessa ha scritto, “una miscela fatale di sottomissione verbale e classici schiaffi mi mostrava come io, in quanto bambina, fossi la più debole”.

Ma ora per la giovane, che ha 33 anni, è tutto nel passato e la sua storia è diventata un esempio di grande forza di volontà.

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