È una specie di domino. La prima pedina si abbatte su quella più vicina che trascina nella caduta quella successiva. Avanti e avanti ancora, in un cupio dissolvi senza requie. In politica questo gioco ha un nome che ha acceso speranze e aspettative dall'Italia agli Usa: sovranismo. Tradotto in parole povere: tutti contro tutti. Certo, la soglia di sopportazione del ceto medio, e non solo di quello, era stata superata un po' a tutte le latitudini. E allora ecco l'America first e tutto il resto, i cortei e gli slogan contro le euroburocrazie, i poteri forti e le aristocrazie. A Roma come a Washington e Bruxelles.
Solo che questa storia, come dimostra la guerra dei dazi, sta sfuggendo di mano in un'esibizione muscolare che fa paura. Trump batte il pugno e fa scattare tasse pesantissime che zavorrano i prodotti europei, fino al parmigiano, al prosecco e ai nostri vini pregiati. Questo round va così, ma il prossimo, ne siamo certi, vedrà la rivincita dell'Ue che alzerà i suoi muri per penalizzare le merci Usa. Ritorsione per ritorsione, occhio per occhio, gomitata contro pugno.
Per carità, dietro questi contenziosi ci sono ruggini vecchie di anni, la guerra dei cieli, Boeing contro Airbus e tutto il resto. Ma è la sostanza quella che conta: Europa versus Usa e viceversa, Cina contro America e via elencando fino al taglio slabbrato della Brexit. Le Borse scendono giù come funivie, gli imprenditori conteggiano i danni stellari che si apprestano a patire, i consumatori dovranno rinunciare a quel che prima era a portata di mano e ora diventa un lusso inarrivabile.
Oggi vinci tu, domani vinco io, alla fine perdono tutti. Fosse stata un'altra epoca, forse saremmo già in guerra. Ora per fortuna i conflitti costano troppo e manderebbero in tilt bilanci già tirati. Meglio starne alla larga, ma questo pianeta, che si spacca e si frantuma in tanti colossali iceberg che vanno alla deriva, mette paura. Anche perché questi blocchi finiscono fatalmente per scontrarsi e fracassarsi a vicenda. D' accordo sul togliersi di dosso la catena della schiavitù e sull'essere padroni a casa propria. Senza farsi pestare i piedi da nessuno.
Ma questo non può significare polverizzare le relazioni internazionali e considerare il vicino come un nemico da combattere.Siamo nel villaggio globale e invece ci comportiamo come tribù chiuse nelle loro riserve senza orizzonte. È ora di uscire fuori da questi recinti e di riprendere il filo del dialogo.
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