
Probabilmente l'intuizione più grande del secolo scorso è stata sullo scorrere del tempo. Il ticchettare dell'orologio non esiste. È soltanto filosofia. È una variante di cui la fisica può fare a meno. Ancora di più: può allargarsi e contrarsi così tanto da fondere passato, presente e futuro in un tutt'uno. E, se questa intuizione ha rivoluzionato gli studi e in qualche modo anche la nostra esistenza per tutto quello che ha portato con sé, c'è un'altra intuizione figlia del nuovo millennio che probabilmente segnerà irrimediabilmente se non il nostro presente, quello dei nostri figli e, ancor più, quello dei nostri nipoti: è la possibilità che l'intelligenza umana possa dare vita a un altro tipo di intelligenza, artificiale, e che questa possa espandersi, in autonomia, ed espandendosi possa superare la prima, staccarla a tal punto da renderla obsoleta e diventare del tutto incomprensibile. È un film di fantascienza che si avvera, ma che non deve fare paura. Almeno se lo guardi con gli occhi di Sam Altman.
Ma cosa succede se gli strumenti con cui abbiamo a che fare evolvono più velocemente dei nostri maestri, cioè delle persone che dovrebbero insegnarci a usarli? Non è una domanda scontata. Come non lo è la risposta. E cercare di darla significa ripensare l'istruzione e, in modo particolare, gli studi universitari. Altman è da sempre scettico nei confronti dell'apprendimento standard. Lui stesso, dopo essersi iscritto e averla frequentata per un po', aveva lasciato Stanford. "Non fare nulla per quattro dei propri anni più produttivi è rischioso". Oggi, probabilmente, anche il figlio compirà la stessa scelta. Ma cosa succederà fra vent'anni, quando ci sarà una generazione di giovani che non solo non avrà conosciuto un mondo senza intelligenza artificiale ma per la quale, soprattutto, sarà normale non essere più intelligente dell'intelligenza artificiale?
La scorsa settimana Altman ne ha parlato a lungo col comico Theo Von nel podcast This past weekend. Trovate la chiacchierata su YouTube. E vi consiglio vivamente di andarvela ad ascoltare. Il ceo di OpenAi spiega che il problema non sono i nativi digitali dell'intelligenza artificiale. Per loro non sarà una novità. Sarà uno strumento come un altro e sapranno come sfruttarlo.
Il problema saranno gli adulti. Sapranno stare al passo? Ma soprattutto: sapranno costruire un'offerta educativa al passo con le nuove tecnologie? Purtroppo chi scrive è già troppo vecchio per dare una risposta sensata.