Dalla sfida a Salvini al galleggiamento

È crisi solo se ci credi, se la riconosci, se in qualche modo la battezzi, altrimenti si va avanti scambiandosi i regali di Natale. Il Conte bis non è come il modello numero uno

Dalla sfida a Salvini al galleggiamento

È crisi solo se ci credi, se la riconosci, se in qualche modo la battezzi, altrimenti si va avanti scambiandosi i regali di Natale. Il Conte bis non è come il modello numero uno. Non perde la pazienza, non è permaloso e gioca in difesa. Si arrocca. I renziani hanno detto che la maggioranza non c'è più. È finita. Non ha più senso andare avanti così. E lui che fa? Fischietta. Sì, certo, chiama i partiti della maggioranza a Palazzo Chigi per una rimpatriata, ieri Pd e Cinque Stelle, oggi Leu e appunto Iv, ma senza enfatizzare troppo quello che sta accadendo. È solo una chiacchierata per fare il punto sul piano Recovery. Quel piano tanto importante di cui finora non si conosce neppure una virgola. È una messa a punto sul nulla.

Il Conte bis non va in Parlamento. Non sfida gli sfasciacarrozze. Non mette il punto finale sull'avventura di governo. Prende tempo. L'avvocato del popolo ha imparato a galleggiare o, molto più semplicemente, non ha ancora definito il piano B. Ve la ricordate l'estate del 2019? Sembra una vita fa. Matteo Salvini disse dalla spiaggia che non c'era più una maggioranza. Sperava di andare alle elezioni. Allora Conte fu celere. Non fece finta di non sentire, ma ci mise la faccia, riportando una crisi extraparlamentare dentro le istituzioni. È con questa mossa che riesce a cambiarsi d'abito e rispolverare il trasformismo di fine Ottocento. Fu, senza alcun dubbio, una mossa spiazzante e sorprendente. Nessuno si aspettava dal principiante Conte tanta spregiudicatezza. Salvini, per primo, non se lo aspettava.

La strategia questa volta è diversa. Il suo avversario è un altro Matteo. È quel Renzi che rivendica la paternità del Conte bis. Fu lui, ancora nel Pd, a lanciare l'idea di un cambio di maggioranza, sostituendo con il rosso, o il rosato, il verde leghista. I gialli non erano ancora un movimento fantasma. L'obiettivo era mettere nell'angolo il sovranista marittimo e rubargli il sogno elettorale. Renzi, con il suo partitino, ora rivendica un ruolo di deus ex machina della maggioranza, il potere quasi divino di far nascere e cadere i governi. Quello che in molti si chiedono è quali carte abbia in mano il leader di Italia viva. Il sospetto è che stia bluffando. Non avrà mai il coraggio di far cadere Conte senza un'alternativa già pronta. Si dice che alla fine si troverà un compromesso, con Conte che fa un passo indietro sulla struttura che dovrà gestire i fondi del Recovery e Renzi che sbandiera la crisi senza arrivare alla sfiducia.

Non si andrà a vedere le carte. C'è una costante tra il Conte uno e il Conte due: affidarsi al Pd. Il premier scelto a sorpresa dai Cinque Stelle deve il suo destino politico al partito che rappresenta la vecchia classe politica. Dario Franceschini lo avrebbe perfino indicato come campione di una coalizione anti centrodestra nel caso davvero si dovesse andare al voto. È chiaro che anche quello di Franceschini è un bluff, ma l'idea di un Conte campione del Pd fa ancora un po' impressione.

Qualcuno dirà che da queste turbolenze il premier ne esce comunque ridimensionato, ma questo significa sottovalutare le capacità di galleggiamento di questo

presidente del consiglio per caso. Al di là di come andrà a finire Conte è il volto di chi ha sfidato i due Mattei. Ormai per il Pd Conte è una sorta di vaccino. Quelli ancora da chiarire bene sono gli effetti collaterali.

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