"Si manifestano malattie rare...". Cosa può succedere a chi guarisce dal Covid

Secondo Maria Cristina Sacchi il virus può provocare malattie autoimmuni, importante la vaccinazione

"Si manifestano malattie rare...". Cosa può succedere a chi guarisce dal Covid

Chi ha avuto il Covid, una volta guarito rischia di sviluppare malattie rare, non solo a livello polmonare. Per chiarire, il rischio è il manifestarsi di patologie autoimmuni come per esempio il Lupus eritematoso sistemico. O anche la celiachia, il diabete di tipo 1, la dermatomiosite, la miastenia, o l'artrite reumatoide. Senza tralasciare l'alopecia, alcune alterazioni muscolari e delle infiammazioni croniche intestinali. Possono tutte essere associate al coronavirus. Il perché è presto chiarito: nel momento in cui un soggetto contrae il virus, il suo sistema immunitario ne risente e comincia a produrre autoanticorpi che attaccano le cellule stesse del malato.

Insorgere di malattie rare dopo il Covid

Come riportato da Libero, guarire da Sars-Cov2 non vuol dire tornare a come si stava prima di contagiarsi. I danni potrebbero essere gravi e anche invalidanti. A spiegare meglio cosa avviene nell’organismo di una persona che ha avuto il Covid, Maria Cristina Sacchi, responsabile del laboratorio "Diagnostica Malattie Autoimmuni" dell'Azienda ospedaliera di Alessandria, che ha studiato in modo approfondito proprio i rischi connessi all’infezione del virus in questione. Tra questi una particolare attenzione meritano le malattie rare. La Sacchi aveva iniziato con Renato Dulbecco, con il quale aveva partecipato al progetto Genoma. Aveva poi studiato negli Stati Uniti e collaborato con il Cnr. Dopo la prima ondata dell’epidemia, è arrivata alla scoperta che in pazienti guariti, tra il virus e le malattie autoimmuni ci fosse una relazione. Tanto importante da far inchinare gli esperti americani alla scienziata italiana. Come ha raccontato: “Mi hanno detto che il mio studio era too strong, troppo forte”.

L’esperta ha quindi proseguito con il suo lavoro che è stato approvato dal Comitato Etico dell'Irsi, presieduto da Antonio Maconi. Da lì è cominciato il report osservazionale retrospettivo su 40 pazienti. Tutti con una diagnosi di Covid e ospedalizzati. La dottoressa ha spiegato che “sono stati sottoposti a test di autoimmunità e più del 60% ha presentato una risposta alterata del sistema immunitario, ovvero con una produzione di autoanticorpi”. Quello che però conta maggiormente è che nessuno di questi soggetti mostrava una storia pregressa di autoimmunità. In poche parole: il problema è arrivato dopo e quindi il virus può in certi casi favorire l’insorgere di altre malattie e rendere difficoltosa la guarigione.

Fondamentale vaccinarsi

Proprio per questo motivo, l’esperta ha tenuto a sottolineare che ci si deve vaccinare senza avere timori. Anche perché dovremo imparare a convivere con il Covid, dato che in futuro passeremo da una forma virale pandemica a una endemica, ovvero che durerà per molto tempo. E “senza un vaccino e una terapia farmacologica mirata sarà difficile da controllare considerata la contagiosità delle varianti in circolazione”. L’unico modo per cercare di fare ritorno a una vita normale, secondo la scienziata sarà quello di vaccinare il più velocemente possibile la maggior parte della popolazione e allo stesso tempo arrivare a un protocollo farmacologico riconosciuto che renda possibile terapie a casa in totale sicurezza. Senza quindi gravare sulle strutture ospedaliere.

Serve quindi una accelerata alla campagna vaccinale, anche se molti non sono convinti del tutto del vaccino. “Per questo ad Alessandria stiamo conducendo uno studio sul profilo autoimmune di tutto il personale medico e infermieristico che si è vaccinato. La ricerca è iniziata il 12 gennaio e contempla l'osservazione di 180 dipendenti dell'Asl, dai 18 anni alla pensione. Vediamo come il sistema immunitario reagisce al vaccino”. Solo alla fine di aprile si avranno in mano i risultati definitivi, ma qualcosa già sembra intravedersi. Lo studio si è basato su due normali esami ematici. Il primo prelievo effettuato prima della vaccinazione, e il secondo dopo tre mesi, una volta fatto anche il richiamo.

“Vogliamo fare una valutazione dell'assetto autoimmune di ognuno, pre e post vaccino, per verificare che non ci sia una produzione de novo di autoanticorpi in chi si è sottoposto a profilassi e per valutare cosa invece può accadere in pazienti Covid che hanno già gli anticorpi”. L’importante per adesso sembra essere la vaccinazione.

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