Cultura e Spettacoli

Il Signor G raccontato dalla Signora G

Sono stati la coppia più vera, forte e complicata dello spettacolo italiano: Ombretta Colli e Giorgio Gaber. Una primadonna e un artista che non voleva essere primadonna. Una diva e l'antidivo

Il Signor G raccontato dalla Signora G

Sono stati la coppia più vera, forte e complicata dello spettacolo italiano: Ombretta Colli e Giorgio Gaber. Una primadonna e un artista che non voleva essere primadonna. Una diva e l'antidivo. Qualcosa forse di incomprensibile oggi, nell'epoca di divi accompagnati a divi, di unioni sotto i riflettori. Lei, che è una donna gentilissima, una vera signora d'altri tempi, racconta per la prima volta questo meraviglioso rapporto in un libro scritto con un professionista che Gaber lo conosceva benissimo, ossia Paolo Dal Bon, che si intitola Chiedimi chi era Gaber, in uscita in questi giorni per Mondadori. «Non saprei dire se sia stato il destino a farmi incontrare Giorgio, ma di certo in quegli anni (la fine dei Cinquanta, ndr) le nostre strade si incontrarono più volte: una serie di coincidenze degna di curiosità», scrive la signora Colli in Gaberscik, la signora G (sia consentita una piccola licenza) che ha visto da vicino, ma veramente da vicino uno dei grandi inventori della canzone d'autore. Il primo brano che lei ascoltò era della fase «urlatore» di Gaber, cioè Ciao ti dirò, uno dei pezzi che ancora oggi, se lo ascolti, non puoi fare a meno di ballare.

Il legame tra Giorgio Gaberscik e Ombretta Colli parte da lì, dall'ascolto di un 45 giri di discreto successo, e diventa poi una delle più strabilianti liaison che abbiamo attraversato il nostro dopoguerra e lo spettacolo italiano. Una storia che accompagna quella che è forse la più portentosa trasformazione nella carriera di un artista. Il Ciao ti dirò di Gaber è una sorta di rock'n'roll molto ruvido, lontanissimo (nel suono, ma non nello spirito) da quello che lui avrebbe poi fatto pochi anni dopo, quando si è rivelato il vero e proprio inventore di un nuova narrazione (come si dice oggi) della musica d'autore.

Giorgio Gaber faticosamente diventò il pioniere del Teatro Canzone con di fianco Ombretta Colli, sua moglie, e la loro vita nella casa milanese, poco distante da piazzale Loreto, si è rivelata la culla di tanti grandi momenti della storia dello spettacolo. Passo dopo passo, Giorgio Gaber ha iniziato a scandagliare gli italiani, a individuarne i difetti, a focalizzarne le debolezze senza cedere di un passo rispetto all'unica condizione che si era posto: la coerenza. Un percorso che lo portò a ricevere applausi a destra e a sinistra ma anche critiche (feroci) sia a destra che a sinistra, in un rituale che è l'unico in grado di confermare quando un artista è realmente super partes. In ogni caso, Ombretta Colli c'era. Artista, moglie, compagna di vita e poi mamma.

«Siamo stati due genitori fortunati. Dalia è una bella persona. Davvero non ho idea, e forse nemmeno la scienza ce l'ha, di quanto contino nell'individuo i caratteri ereditari, le esperienze e forse anche il quadro astrale», scrive lei. «Sicuramente nostra figlia è stata molto amata da me, da Giorgio e dalla nonna Franca, terzo e insostituibile genitore», aggiunge Ombretta Colli, che è nata a Genova nel 1943 e che, dopo un secondo posto a Miss Italia 1960, ha recitato per Petri, Magni e Scola oltre ad aver cantato brani che fanno parte di quel pop elegante a cavallo tra la seconda metà degli anni Sessanta e gli anni Ottanta. Insomma, nelle oltre centocinquanta pagine di Chiedimi chi era Gaber c'è questa storia, la storia vera di un matrimonio per la vita. Che ha superato anche le divergenze politiche. Quando iniziò Tangentopoli - scrive la Colli con Dal Bon - Giorgio, con Sandro Luporini, «cercò come sempre di ragionare con la sua testa. A questo proposito, nel brano C'è un'aria del 1992 cantò: Sarà una coincidenza oppure opportunismo / intervenire se conviene forse una regola del giornalismo / e quando hanno scoperto i politici corrotti / che gran polverone, lo sapevate da sempre / ma siete stati belli zitti» ricorda la Colli. «Del tutto inaspettatamente ricevetti una telefonata di Silvio Berlusconi», ricorda. Il futuro premier la incontrò e le disse: «Sarai sempre stata, e lo capisco, una donna idealmente di sinistra, come sicuramente lo è tuo marito, ma a differenza di tante tue colleghe anche loro di sinistra, se non addirittura filo comuniste, non si percepisce in te alcuna rigidità ideologica. Io ho bisogno di donne come te». Quando Ombretta Colli annunciò al marito l'idea di candidarsi, lui la «incoraggiò dicendomi che avevo fatto la scelta giusta».

Inizia così il cammino politico di una delle grandi lady del nostro spettacolo, un cammino che la espose a parecchie critiche ma non a quelle di suo marito. «Giorgio non votava dal 1975. Ma per la mia candidatura a presidente della provincia di Milano fece un'eccezione». Fu eletta. Poco dopo Gaber iniziò a non stare bene e, proprio mentre lei era presidente, ci fu «il momento più doloroso della mia vita: il 1° gennaio 2003 Giorgio se ne andò». Era a Camaiore, «la nostra Padula», come scrive lei. Da allora ha vissuto (soprattutto) per mantenere e non tradire la memoria di uno dei più favolosi artisti della storia italiana, l'unico che non abbia mai fatto passi falsi e che sia sempre stato in grado di andare oltre a se stesso, alla musica che scriveva, persino alle convinzioni che aveva.

Perciò Giorgio Gaber, anche dalle parole che si leggono in questo libro, resta il più attuale di tutti i grandi autori della nostra canzone, l'unico che abbia previsto la nostra vita anche dopo la sua morte.

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