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Il sindacato fa tremare Google

Alla fine ce l'hanno fatta. Timidamente, con molte cautele e, al momento, con pochissime adesioni, ma i sindacati sono entrati nel tempio della tecnologia

Il sindacato fa tremare Google

Alla fine ce l'hanno fatta. Timidamente, con molte cautele e, al momento, con pochissime adesioni, ma i sindacati sono entrati nel tempio della tecnologia. Dopo mesi di lavoro sottotraccia duecento, tra sviluppatori e ingegneri, hanno dato vita alla prima rappresentanza sindacale all'interno di Google. Vista con gli occhi del mondo del lavoro europeo, potrebbe sembrare una banalità. Non lo è, invece, per la galassia dei colossi del web. La Silicon Valley è il distretto in cui viene pensata la tecnologia più avanzata di tutto il mondo, giusto per capirci: nell'area hanno sede aziende come Facebook, Ebay, Microsoft, Netflix, PayPal, Tesla, Apple, Amazon e, appunto Google, solo per citare le più note. Una zona che nel 2018 ha generato un pil di 316 miliardi di dollari e offre lavoro a 1,6 milioni di persone. Ma la capitale mondiale dell'hi-tech è anche stata, almeno fino a pochi giorni fa, una terra assolutamente refrattaria a qualunque controllo sindacale. L'oleografia ufficiale ci racconta di nerd occhialuti e con camicie a fiori che scorrazzano su monopattini elettrici dentro queste gigantesche sedi colorate e avveniristiche, dove si lavora più facilmente spaparanzati su divani di design piuttosto che su vetuste scrivanie.

La realtà non è esattamente così. Scarsa solidarietà tra i lavoratori, turni di lavoro estenuanti, flessibilità portata all'estremo, molestie taciute e rimosse, licenziamenti arbitrari, dirigenti e proprietari divenuti monarchi assoluti delle loro aziende sono tutte caratteristiche che hanno contribuito a creare la fama della valle dalla quale partono tutte le idee tecnologiche che cambiano le abitudini del mondo. E, molto probabilmente, hanno agevolato anche la creazione di quei patrimoni e quei monopoli - simili a quelli di vere e proprie nazioni - che sono finiti al centro di molte critiche. Dalle parti di Washington cresce sempre di più l'idea che nelle «over the top» si sia concentrato troppo potere e che gruppi come Google e Facebook dovrebbero essere spacchettati per renderli più controllabili. Ed è in questo clima che arriva l'Alphabet workers union, primo sindacato di tutta la valle. «Eleggeremo rappresentanti e assumeremo organizzatori qualificati per garantire che tutti i lavoratori di Google sappiano che possono lavorare in un'azienda che rifletta i loro valori» ha spiegato Dylan Baker, un ingegnere, tra gli ideatori dell'iniziativa. Un piccolo terremoto che ha generato panico tra tutti i giganti della tecnologia, che ora temono un inevitabile effetto domino. Certo, non è come se Landini col suo vocione baritonale e tutta la Cgil fossero entrati nel quartier generale di Mountain View, stiamo parlando di poche centinaia di dipendenti su un totale di 260mila, ma la Silicon Valley per come la abbiamo conosciuta fino ad oggi potrebbe cambiare. L'Alphabet workers union è un sindacato di minoranza che si prefigge di «dare struttura e longevità all'attivismo di Google» e non tanto contrattazioni sindacali su salari e buste paga, ma già questo è bastato per far perdere ad Alphabet (la casa madre del gruppo) l'1,7 per cento a Wall Street. Nel fortino radical dell'innovazione globale pulsa un cuore conservatore, che non accetta di buon grado l'idea che qualcuno possa rompere un giocattolone che per ora ha funzionato alla perfezione.

Ve lo immaginate uno come Elon Musk che si mette al tavolo per contrattare sui decimali degli straordinari? No, appunto, è come paragonare la Tesla a un treno a carbone. Ma, d'altronde, non poteva continuare tutto nella totale deregulation, interna ed esterna. Per la Silicon Valley, dopo decenni di fulgido dominio, potrebbe iniziare una nuova era.

E, forse, anche per noi.

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