Afghanistan in fiamme

La sinistra cieca con i terroristi

Forse Massimo D'Alema ignora che la lista dei terroristi del Consiglio di Sicurezza dell'Onu mette in testa il primo ministro talebano Mohammed Hassan Ahud e a seguire molti altri dei suoi.

La sinistra cieca con i terroristi

Forse Massimo D'Alema ignora che la lista dei terroristi del Consiglio di Sicurezza dell'Onu mette in testa il primo ministro talebano Mohammed Hassan Ahud e a seguire molti altri dei suoi. L'ex premier ed ex ministro degli Esteri italiano, schivando questo dato di fatto, snobba l'Onu - che pure dovrebbe essere un suo punto di riferimento - e fa dei talebani, nella sua intervista al Domani, un'organizzazione fondamentalista ma non terrorista, con cui si può, anzi, si deve trattare.

È un punto di vista costruito sulla presuntuosa illusione etnocentrica che anche il jihadismo islamico più dichiarato si possa dribblare con l'appeasement. Un approccio praticato senza successo dall'Occidente sin dall'inizio del XX secolo, attraverso due guerre mondiali e una guerra fredda. È però molto pericoloso adottare l'idea cardine del pacifismo intransigente, secondo cui l'aiuto economico può tarpare ogni guerra, la legge internazionale è l'antidoto al genocidio e la negoziazione crea «processi di pace». Nasconde la paura di mostrarsi islamofobi e D'Alema - in modo tipico di certa sinistra - cancella la verità: ovvero che, anche se non tutto il mondo musulmano combatte per il Califfato, questa idea è comunque radicata nei testi religiosi e nel perseguimento della sharia. Ed è l'idea alla base non solo dell'Isis e di Al Qaida, ma di Hamas, di Hezbollah, dell'Iran che li nutre e ovviamente anche dei talebani. Tutte organizzazioni che D'Alema si illude non facciano parte della compagine terrorista. D'Alema crede che questi gruppi di assassini seriali di civili siano malleabili, e questa è una cieca perversione. Come quella di rimpiangere che la Fratellanza Musulmana non sieda alla guida dell'Egitto.

È nella forza della jihad stessa, e non nei tentativi a volte goffi e sbagliati dell'Occidente di tamponarla, che risiede il rischio per tutti noi. La battaglia è contro la sofferenza inferta alla nostra civiltà dal terrorismo. Al contrario, D'Alema ha fornito un mattone alla cultura islamista, per cui il debole nemico in fuga e in confusione sarà sconfitto. Diceva lo storico Walter Laqueur che decenni di discussione sul terrorismo non hanno condotto a una definizione valida per tutti. È vero: il tuo terrorista può essere il mio freedom fighter, il liberatore.

È un senso di perdita e di incertezza quello che si ricava dalle parole di D'Alema, pervase da un senso di colpa per cui è la nostra incapacità di pacificazione che crea il rischio.

Non è così: il rischio consiste nell'utopia post moderna di poter giocare al «negoziato» con una cultura che legge il rapporto con noi solo in termini di vittoria o sconfitta, forza e debolezza.

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