"A sinistra doppia morale sulle statue". Intervista a Eugenia Roccella

Il ministro della famiglia: "La scultura di Napoli mostra che la fertilità va bene soltanto se maschile"

"A sinistra doppia morale sulle statue". Intervista a Eugenia Roccella
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In Piazza Municipio, nel cuore di Napoli, è stato eretto un grande fallo alto 12 metri. Dicono che sia un'opera che raffiguri Pulcinella, ma è inequivocabilmente un fallo, sponsorizzato come soluzione al problema della denatalità. Ne parliamo con Eugenia Roccella, ministro per la natalità e la famiglia.

Ministro, lei cosa ne pensa della Pulcinella di Gaetano Pesce a Napoli? Bisognerebbe censurarla?

«Sono contraria in generale alla censura. Sono una libertaria. Il problema è vivo, anche perché siamo in un periodo in cui impazza la cancel culture , che è una forma di censura. Addirittura è una censura della Storia. Quindi: stiamo attenti a non cadere nel proibizionismo. E non posso nemmeno immaginare di censurare l'arte».

La curatrice dell'opera, Stefania Annichiarico, ha detto: «Capisco che possa rappresentare un fallo, ma in fondo, in un periodo di crisi della natalità come quello che viviamo, può essere uno stimolo»

«Che l'opera sia un'immagine fallica è del tutto evidente. La curatrice poi accosta l'opera a Pompei e ai riferimenti fallici nell'iconografia dell'arte romana. Ci sta tutto. Il problema è il doppio standard, la doppia morale».

In che senso?

«L'esaltazione del fallo nel fenomeno della procreazione da una parte, la totale cancellazione del materno dall'altra».

In effetti, recentemente, il Comune di Milano ha censurato una scultura che rappresentava una donna che allatta

«Già. È in atto la volontà di cancellare totalmente la figura materna».

Perché si dice di no alla donna che allatta?

«Perché la donna che allatta è ovviamente una madre, e oggi domina l'idea che la liberazione della donna passi attraverso la negazione della maternità e persino la negazione della femminilità».

E non è così?

«No, è esattamente l'opposto. Io credo che la liberazione passi attraverso la valorizzazione del materno, riconoscendolo come valore sociale. La stessa Costituzione dice che la maternità va protetta».

Ritiene che nella società moderna la maternità sia cancellata?

«Sì. È cancellata nei documenti internazionali, nel linguaggio istituzionale. È calato un velo. A maggior ragione - dico - l'arte potrebbe recuperare. Sia sul piano sociale sia sul piano linguistico, semantico».

Perché la maternità divide?

«Perché secondo la corrente maggioritaria di pensiero l'emancipazione femminile si realizza assimilando il più possibile il corpo femminile al corpo maschile. Dividono la maternità e l'allattamento perché affermano la differenza dei corpi».

Però nell'immaginario collettivo - e anche nei film, nella Tv, nei social, nello spettacolo nella pubblicità - il corpo femminile è protagonista.

«Sì. Ma solo come oggetto sessuale».

Lei è contraria?

«Per carità. Ognuno fa come vuole. Libertà, libertà. Però mi colpiscono certe artiste, cantanti, che si spogliano e dicono che questo è un gesto di libertà. Libertà per chi? Il denudarsi, il mostrare il proprio corpo, è quasi sempre un gesto che risponde all'immaginario erotico maschile. È libertà per il maschio, non per la donna».

Il fallo è simbolo di libertà o di patriarcato?

«È una contraddizione che rientra nello squilibrio che c'è in tutta la nuova cultura woke, che spesso non è neanche consapevolmente woke. È diventata senso comune. Lo vediamo anche nella cancellazione della parola donna. C'è una parte del femminismo che sostituisce la desinenza con l'asterisco e pensa di avere compiuto un gesto rivoluzionario. Però dovrebbero riflettere su un fatto semplice: la parola donna è cancellata. La parola uomo no».

Signor Ministro, non crede che ci sia un po' troppo «bacchettonismo» in giro?

«Sì. C'è un grande perbenismo anche linguistico.

E se Marco Rizzo dice una frase che è semplicemente un po' rozza, cioè che gli piace la gnocca apriti cielo. Poi questo perbenismo - io dico perbenismo non correttezza - non si traduce in nessun valore vero. È solo ipocrisia. Ci si indigna per la parola sbagliata ma i femminicidi e la violenza contro le donne non si fermano».

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