Che la situazione sia problematica, che l'autunno potrebbe diventare esplosivo tra aumenti delle bollette, inflazione e quant'altro, non c'è bisogno che lo dica né Maurizio Landini, né il suo nuovo punto di riferimento politico, cioè Giuseppe Conte. Questo è stato il primo giornale ad utilizzare il termine «economia di guerra» (verificare per credere), non per doti divinatorie, ma perché bastava già due mesi orsono fare due più due per immaginare quali conseguenze avrebbe provocato la guerra in Ucraina su un contesto economico già provato da due anni di pandemia.
Detto questo era impossibile - e ingiusto - voltarsi dall'altra parte, cioè non assumersi delle responsabilità di fronte all'aggressione russa. Né il nostro Paese poteva dimenticare gli impegni di mutua assistenza che ci legano ai nostri alleati. Solo che una condizione di guerra, cioè una delle emergenze per antonomasia, prevede un minimo di solidarietà tra le forze politiche e quelle sociali. E, invece, più si avvicina l'autunno e più quel minimo di unione che aveva caratterizzato la prima fase della guerra viene meno. C'è chi aspetta l'autunno per specularci sopra, politicamente e socialmente. Chi punta a costruire il consenso sulle disgrazie. Sono gli untori del malcontento, i novelli Lenin che, come nel 1917, sull'onda di una tragica guerra sperano, soffiando sul fuoco, di scatenare la rivoluzione. O, più probabilmente, una sua parodia.
Basta pensare ai giochetti di Giuseppe Conte di questi giorni (ora i grillini pensano di abbandonare l'aula del Senato nel voto sul decreto legge Aiuti), ma, soprattutto, alle minacce del segretario della Cgil. «A settembre - ha tuonato ieri - metteremo in campo mobilitazioni di tutti i tipi. Non lascio il campo a qualcun altro». E i due, Conte e Landini, a quanto pare, vanno di comune accordo, visto che quest'ultimo non si stanca di rimpiangere il governo dell'avvocato d'affari.
Ora sicuramente questo non è l'esecutivo perfetto. Anzi. Di errori ne ha commessi tanti. Troppi. Spesso, però, non era nelle condizioni di far altro: se i 5stelle per anni hanno sabotato una politica energetica degna di questo nome le responsabilità non possono certo ricadere oggi su Draghi. Ecco perché ci vorrebbe un limite nei toni e nelle minacce. Un autunno esplosivo non giova a nessuno. Semmai c'è bisogno di porre e risolvere i problemi. Se addirittura il volontariato si lamenta del costo della benzina che non gli permette di operare sul territorio, Draghi non può sottrarsi. Deve battere un altro colpo perché ciò che è stato fatto finora non basta.
Altro discorso, invece, è gettare benzina sull'insoddisfazione popolare, specie se lo fa l'unico partito che in questa legislatura è sempre stato al governo, cioè il Movimento 5stelle. Sono comportamenti da apprendista stregone: si monta una protesta che poi non si riesce a cavalcare e si finisce per premiare sul piano dei consensi altri.
Specie se la speculazione la tenta chi non riscuote più la fiducia della gente. E in questo momento né il populismo politico dei grillini, né il massimalismo sindacalista della Cgil sembrano godere di grande fama. Anche Enrico Letta dovrebbe riflettere sugli alleati che si va a cercare.
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