Cronache

Lo Stato ristupra la dottoressa stuprata

La donna ha denunciato la violenza "in ritardo", così il criminale è libero e non può essere processato

Lo Stato ristupra la dottoressa stuprata

Si stenta a crederlo possibile. Che un uomo accusato di violenza sessuale venga scarcerato per via di una denuncia sporta a distanza di nove mesi, e non sei, sembra il canovaccio perfetto per il teatro dell'assurdo. Se non fosse che il giudice ha ritenuto fondate le accuse di stalking, l'uomo sarebbe a piede libero, invece così sappiamo che è tenuto agli arresti domiciliari con braccialetto elettronico, chissà fino a quando.

La donna che ha già patito l'inferno della paura, degli atti persecutori protrattisi per mesi (e accertati dalla procura) fino alla violenza sessuale perpetrata nell'ambulatorio dove lei lavorava, chiede aiuto allo Stato e rimane con il cerino in mano.

L'amministrazione della legge richiede la combinazione di un po' di diritto e di un po' di buon senso, non può fondarsi soltanto sull'asettica applicazione delle norme, sempre soggette a interpretazione, ma deve calare l'attività ermeneutica in un ambiente di fatti e circostanze pure da valutare.

Quella del magistrato non è una funzione meramente notarile. Il rischio di una scelta che appare, a un tempo, improvvida e sbagliata è che la vittima sia nuovamente esposta ad atti aggressivi e che, in ogni caso, veda ancora menomato il diritto alla libertà e alla sicurezza personale. A ciò si aggiunge lo sbigottimento generale per la frattura che si allarga tra la decisione giudiziaria e il senso comune di giustizia.

Da una parte, la burocrazia togata sceglie di rimettere in libertà un uomo accusato di reati gravissimi. Dall'altra, le persone comuni stentano a comprendere, anzi non comprendono affatto.

La vicenda non rappresenta un episodio isolato, si accumulano i casi, spesso legati a reati di sangue, in cui scarcerazioni anticipate o pene dimezzate, come per magia, lasciano l'amaro in bocca per la flagrante ingiustizia. Sono trascorsi pochi giorni dalla Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, abbiamo ascoltato reboanti dichiarazioni, abbiamo assistito a cortei e manifestazioni esteriori di condivisibile indignazione verso chiunque osi toccare una donna contro la sua volontà. Certo, è più comodo intonare un coro verso un avversario senza nome piuttosto che protestare apertamente contro la decisione ottusa e insensata di un singolo giudice.

Sarebbe il caso però che anche i professionisti della lotta alla violenza di genere mettessero da parte le schermaglie ideologiche sulle desinenze corrette per far sentire una voce forte contro un atto scellerato, imputabile questa volta allo Stato.

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