Gli studenti spaccano tutto per non fare due ore di lavoretti

L'idea è giusta: nelle altre nazioni europee l'alternanza scuola-lavoro è una realtà formativa ormai acquisita. Da noi gli studenti protestano perché non sono d'accordo con questa modalità di apprendimento, che apre la scuola al mondo del lavoro. Sbagliano, ma li capisco

Gli studenti spaccano tutto per non fare due ore di lavoretti

L'idea è giusta: nelle altre nazioni europee l'alternanza scuola-lavoro è una realtà formativa ormai acquisita. Da noi gli studenti protestano perché non sono d'accordo con questa modalità di apprendimento, che apre la scuola al mondo del lavoro. Sbagliano, ma li capisco.

Sbagliano perché i modelli di apprendimento scolastico non possono esaurire la formazione di un giovane, il quale dalla scuola deve incominciare a guardare con i propri occhi una realtà sociale più complessa di quella che trova nei libri di testo.

L'alternanza scuola-lavoro offre anche un'importante opportunità, quella di comprendere cosa fare dopo gli studi superiori. La scelta avviene come un salto nel buio, spesso senza nessun aiuto o con pressioni che non tengono in considerazione le attitudini del giovane.

Insomma, chiusi tra le pareti della scuola si fa fatica a capire ciò che si trova all'esterno: comprensione invece necessaria per la formazione di un ragazzo. Dunque, bene procedere in questo cammino dell'alternanza, che però va corretto. Ma proprio questo è il problema. Gli studenti, allora, hanno ragione ad avere molte perplessità in proposito. Certo, sono sbrigativi nella protesta, ma a loro non si può chiedere di fare ciò che è compito delle istituzioni... e dei loro genitori.

Paradossalmente, oggi è conflittuale proprio la relazione scuola-lavoro. Ribadisco che essa è essenziale, ma come si realizza? Il ministero fornisce dati importanti sul numero degli studenti che s'impegnano in questa realtà formativa, tuttavia ai più accorti non sfugge la difficoltà di quella relazione. È come pretendere di mettere insieme l'acqua con l'olio: rimangono separati. Si sa che c'è bisogno dell'una e dell'altro, ma insieme non si mescolano. Perché?

Abbiamo un ordinamento didattico, una formazione dei docenti, un loro reclutamento che è anacronistico: mio figlio, in un liceo statale molto importante di Milano, studia come studiavo io cinquant'anni fa e come ci insegnavo io un bel po' di anni fa. Vecchio, tutto vecchio, e non per responsabilità degli studenti.

Dall'altra parte, aziende, imprese, centri di ricerca si vedono arrivare questi ragazzi come se scendessero da Marte. Esagero, lo so, ma solo per far comprendere con evidenza il disagio dei responsabili del lavoro, che non viene supplito dalla loro buona volontà. Il problema è la scuola, che deve adeguarsi ai tempi moderni per garantire la sua alternanza con il mondo del lavoro, per evitare che ciò finisca con l'essere una ideologica demagogia.

In questa prospettiva, un ruolo decisivo dovrebbe essere svolto dalle famiglie. Ma qui casca il secondo asino (il primo è la scuola). Un genitore deve essere collaborativo con il progetto non derogando completamente le decisioni alla scuola.

Come padre ho il dovere di discutere con i responsabili scolastici dell'orientamento lavorativo a cui andrebbe incontro mio figlio: non devo e non posso abbandonarlo né nelle mani degli insegnanti né in quelle dei responsabili aziendali, per quanto accoglienti possano essere.

Come si vede è un cammino complicato che chiede molta responsabilità, ma è un cammino da percorrere insieme: scuola, lavoro, famiglia.

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