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Draghi, l’instabilità permanente e il dubbio di restare in ostaggio

Il timore di uno strappo di Conte a settembre, alla vigilia della legge di Bilancio. Preoccupano i numeri del Covid

Draghi, l’instabilità permanente e il dubbio di restare in ostaggio

La Camera vota la fiducia al dl Aiuti, ma in Transatlantico il principale tema di conversazione sono dimensioni e numero dei nuovi collegi elettorali e possibili alleanze nel cosiddetto «campo largo». Un dettaglio che la dice lunga su quale sia la percezione del parlamentare medio sul destino della legislatura in corso. Al netto di chi ipotizza che possa venire giù tutto già alla fine della prossima settima con il passaggio del decreto in Senato o di chi teorizza che Giuseppe Conte andrà allo show down a fine luglio chiedendo conto a Mario Draghi dei nove punti del documento che gli ha consegnato mercoledì scorso, la maggior parte dei deputati e senatori è infatti convinta che da settembre ci sposterà su un piano inclinato dove nessuno avrà più certezze. A quel punto, infatti, si sarà di fatto chiusa l'ultima finestra elettorale, perché per votare a ottobre bisognerebbe sciogliere le Camere nella prima settimana di agosto e perché andare a elezioni a novembre o dicembre rischierebbe evidentemente di compromettere la legge di Bilancio (da approvare entro il 31 dicembre, pena l'esercizio provvisorio). Arrivato l'autunno, insomma, è inevitabile che i partiti della maggioranza entrino in modalità campagna elettorale. Con esiti non sempre prevedibili.

Non è un caso che lo stesso Conte sembri poco intenzionato a tirare la corda adesso. Tanto che nella cena di mercoledì sera da Maxelà - a metà strada tra Camera e Senato - davanti a una cinquantina di parlamentari M5s l'ex premier ha preferito muoversi con una certa prudenza, senza cavalcare i toni accesi di chi lo invitava a staccare subito la spina al governo. Accadesse oggi, d'altra parte, l'eventualità di un voto a fine settembre non sarebbe scongiurata e il leader grillino rischierebbe di essere additato come l'irresponsabile che ha mandato il Paese alle elezioni anticipate in autunno. Non solo con la guerra in Ucraina, ma pure con una recrudescenza del Covid che inizia a preoccupare non poco. Basti pensare che mercoledì scorso in Italia si sono registrati 11.657 nuovi casi in un giorno, il dato più alto dallo scorso primo febbraio (12.131). Di fatto, insomma, stiamo tornando in piena pandemia.

Tutte ragioni per cui è plausibile pensare che la resa dei conti venga rinviata a settembre. Quando peraltro ci saranno sul tavolo della legge di Bilancio dossier cari al Movimento, come il redditto di cittadinanza o il superbonus al 110%. Il problema è che con le elezioni alle porte l'effetto slavina è dietro l'angolo. Se Conte alza il tiro, perché non dovrebbe farlo Matteo Salvini? Insieme ovviamente a Giorgia Meloni, che rivendicherà il suo essere da sempre all'opposizione. Il rischio di un'instabilità permanente, dunque, è concreto. E ne è ben consapevole anche Draghi, che tutto vorrebbe fuorché restare prigioniero per mesi e mesi di un pantano politico e parlamentare. E che ha già detto pubblicamente che la sua permanenza a Palazzo Chigi è legata a un governo che resti fino alla fine di unità nazionale.

In autunno, però, il problema rischia di essere lo scenario complessivo. Quello italiano, con la sessione di Bilancio in corso e una possibile recrudescenza del Covid. Ma anche quello internazionale, con la guerra in Ucraina - il nuovo decreto interministeriale per l'invio di armi a Kiev è stato congelato per una settimana per evitare ulteriori attriti con Conte - e le elezioni americane di midterm a novembre. Per non parlare del quadro economico, che rischia di farsi ancora più critico.

Tutti motivi per cui al Quirinale si continua ad auspicare stabilità e un fine legislatura non cruento.

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