Il "Protocollo sezione immigrazione" emanato dal Tribunale di Venezia non sembra poi così scandaloso. Piuttosto di buonsenso. Recita esattamente così: "I difensori, ove siano a conoscenza di malattie infettive del ricorrente (ad esempio Tbc), sono tenuti a comunicare la circostanza al giudice prima dell'udienza e a richiedere al ricorrente la produzione di certificazione che attesti l'assenza di pericolo di contagio". La questione, ovviamente, riguarda soprattutto i migranti che fanno ricorso contro il diniego al diritto d'asilo. E la sinitra già si straccia le vesti.
Facciamo un passo indietro. Il sei marzo scorso il presidente del tribunale Manuela Farini e da quello dell' Ordine degli avvocati di Venezia firmano un protocollo in cui - di fatto - si chiede agli avvocati dei migranti che presentano ricorso di informare se questi sono affetti da malattie contagiose. La decisione ha scatenato - come scrive Libero - la reazione di "Magistratura Democratica, i Giuristi democratici e l'Asgi, ossia l' Associazione per gli studi giuridici sull' immigrazione".
Il presidente di Magistratura Democratica, Riccardo De Vito, ha detto senza mezzi termini che "l' obbligo da parte dell' avvocato di rivelare dati ultra sensibili relativi al suo cliente lede il diritto alla riservatezza e alla dignità.
Nessuno penserebbe mai di chiedere simile certificazione medica alle parti di qualsiasi altro procedimento giudiziario, dimenticando che sono soggetti a stringenti controlli medici sia al loro arrivo che nei centri di accoglienza". E così se un migrante sarà malato di scabbia, per MD, nessuno dovrà saperlo. Rischiando magari di ammalarsi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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