Cronache

Ora spuntano i "No Esselunga": l'ultima follia della sinistra

Centri sociali ed antagonisti in piazza contro un nuovo centro Esselunga a Torino. La zona ora è gestita da un'Associazione culturale, ma l'indotto ha bisogno di nuovi posti di lavoro

Ora spuntano i "No Esselunga": l'ultima follia della sinistra

La sinistra dei centri sociali e dei limitrofi è sempre pronta a scovare ragioni per affermare degli assurdi "no": è successo di nuovo a Torino, dove gli antagonisti hanno manifestato, con la consueta dose d'intolleranza, contro l'apertura di un centro commerciale Esselunga.

La fase, per l'Italia tutta, è complessa: alcuni settori, a causa della pandemia, risultano del tutto bloccati, mentre delle grandi realtà aziendali (si pensi al settore turistico o a quello legato all'organizzazione di eventi) hanno dovuto quantomeno frenare le loro attività, confidando in un miglioramento primaverile: la nascita di un nuovo centro commerciale, in un contesto storico e sociale come quello odierno, dovrebbe essere recepita in modo positivo: significa posti di lavoro e distribuzione di nuova ricchezza. Ma i centri sociali torinesi, con un neppure troppo metaforico manuale della decrescita infelice tra le mani, hanno proprio l'abitudine a contestare.

Succede così che, nel corso di un fine settimana pandemico e semi spettrale nonostante le mancate chiusure, Torino sia costretta ad assistere alle solite violenze di piazza, con tanto di tafferugli tra militanti della sinistra estrema e forze dell'ordine. Le sigle che hanno preso parte al corteo di protesta contro l'apertura del centro sono le stesse che nel capoluogo piemontese hanno imparato conoscere da tempo: Gabrio, Askatasuna ed il Collettivo Universitario Autonomo. Il tutto raccolto sotto la sigla riassuntiva "Esse non".

Il pomo della discordia potrebbe sembrare la località in cui il centro commerciale dovrebbe sorgere, ossia il Parco Artiglieri della montagna, ma la verità può essere un'altra: coloro che urlano i loro "no" avrebbero protestato, con ogni probabilità, a prescindere dalla zona individuata. Perché certi atteggiamenti, magari, nascono da contrarietà di principio.

Il centrodestra è stato compatto nello stigmatizzare l'iniziativa: "Dopo i No Tav, a Torino ci mancavano a far casino i #NoEsselunga, centri sociali e perditempo vari. La Lega sta con le Forze dell'Ordine e con chi porta ricchezza e lavoro, non con gentaglia che grida "merde e nazisti" a donne e uomini in divisa", ha tuonato via Twitter il leader della Lega ed ex ministro dell'Interno Matteo Salvini.

Dello stesso avviso anche l'onorevole Augusta Montaruli, deputata di Fratelli d'Italia: "Torino - ha fatto sapere la meloniana - non può essere costantemente ostaggio dei centri sociali. Gli episodi odierni dimostrano ancora una volta la pericolosità di realtà che non possono essere più tollerate. Piena solidarietà alle forze dell'ordine costrette ancora una volta a subire insulti e vili attacchi. Dopo i No Tav - ha chiosato la Montaruli -, ecco i No Esselunga, ma la matrice è sempre la stessa: la sinistra autonoma". Le battaglie cambiano, insomma, ma i protagonisti di episodi come quello di ieri tendono ad essere sempre gli stessi.

Ora come ora il posto in cui dovrebbe essere edificato il centro è di gestione di un'associazione culturale denominata "Comala". E forse è questa la ratio della veemenza con cui tanti autonomi sono scesi in strada: certa sinistra non accetta di perdere il controllo di territorio, soprattutto nel caso in cui sia riuscita ad "occupare", in maniera legittima o meno, spazi logistici nelle città. Il neo sindaco Stefano Lo Russo, parlando dell'evoluzione progettuale di quei luoghi, aveva anche aperto ad un accordo, così come ripercorso da La Stampa, ma certa sinistra non sembra disposta a perdere un centimetro delle loro "conquiste".

C'è un fattore, infine, che potrebbe fornire qualche ausilio rispetto ai giudizi su questa vicenda: Torino non sta vivendo un momento particolarmente brillante sotto il profilo occupazione. Esselunga dovrebbe assumere, per dire, circa 250 persone, mentre l'attività oggi operante in quella zona garantisce il lavoro ad una quindicina di persone.

Tenendo in considerazione pure il contesto pandemico, le prospettive lavorative per la collettività suggerirebbero qualche dose di prudenza in più, quando si ragiona sul manifestare o meno, in via indiretta, contro nuove occasioni occupazionali.

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