Tornano i riti che rafforzano le istituzioni

È il cerimoniale, bellezza. La supremazia del rito immutabile di Palazzo: ricevere con solennità i nuovi governanti che magari non si dimostreranno all'altezza del compito e congedare con tutti gli onori gli uscenti anche se si sono rivelati disastrosi.

Tornano i riti che rafforzano le istituzioni

È il cerimoniale, bellezza. La supremazia del rito immutabile di Palazzo: ricevere con solennità i nuovi governanti che magari non si dimostreranno all'altezza del compito e congedare con tutti gli onori gli uscenti anche se si sono rivelati disastrosi. Nei nove giorni che hanno preceduto il varo dell'esecutivo Draghi, le trattative sotterranee della politica sono state accompagnate dalla cornice istituzionale di una Repubblica avvezza ad insediare e congedare quasi un governo all'anno, 67 dal 1946.

La politica ha attinto a tutto il repertorio previsto dalla Costituzione o dalle consuetudini della Repubblica: il mandato esplorativo al presidente della Camera Roberto Fico, l'incarico accettato con riserva dall'ex governatore Bce Mario Draghi, le consultazioni delle forze politiche al Quirinale, gli incontri tra Fico e le delegazioni parlamentari, il faccia a faccia istituzionale tra il nuovo premier e gli interlocutori dei partiti. Passaggi solenni che mischiano antiche tradizioni e suggestioni del momento, un cocktail nazional-popolare che oscilla dalle laconiche comunicazioni di Mattarella al carnevale dei disciolti Responsabili che hanno attirato l'attenzione finché potevano risultare decisivi. Si avverte una regia secolare nelle procedure che sovrintendono a un cambio di governo. Un rimando a ciambellani, scribi e intendenti di corte che compilano calendari, attivano il cerimoniale, predispongono onori militari con squilli di tromba e inno nazionale, lo scambio della campanella come continuità del potere esecutivo. La funzionaria mascherata che accoglie la prima volta al Quirinale un esitante Draghi, indicandogli scanner per la rilevazione della febbre e lunghi corridoi da percorrere, è il simbolo anonimo di una macchina segreta e impersonale pronta a riservare il medesimo trattamento di riguardo a tutti i presidenti del Consiglio che si avvicenderanno negli anni a venire.

Sembra finalmente esaurito quel vento anti casta alimentato negli ultimi anni dal mondo girotondin-grillino, infastidito dai voli delle Frecce Tricolori il 2 Giugno e da qualsiasi auto blu che si permettesse di caricare un'autorità dello Stato. Guardare i corazzieri del Quirinale come un retaggio anacronistico del passato, pretendere una sobrietà stracciona in qualsiasi passaggio formale che possa riguardare la vita istituzionale.

Il governo Draghi è il prodotto di un Paese, tormentato dal Covid e afflitto dalla crisi economica, che ha scelto di affidarsi a un gabinetto d'emergenza. La flemma «british» del neo premier non deve fare dimenticare perché ci siamo trovati con un ex banchiere centrale di prestigio mondiale a Palazzo Chigi al posto dei segretari di partito che vincono le elezioni. L'Italia si è riunita attorno a un nuovo leader dotato di una delega smisurata che supera i progetti e le esigenze dei singoli partiti di una maggioranza da guerra.

Una nazione forte non deve mai rinunciare alle sue tradizioni per assecondare le tendenze populiste o pauperistiche del momento. Anche i simboli che rendono forte una Repubblica sono una bandiera che non va mai ammainata per vergogna o, peggio, per convenienza.

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