Ecco che cosa non torna sulla strage

Dal cavo spezzato al corretto funzionamento del sistema frenante fino alle eventuali responsabilità degli indagati. Tutti i punti oscuri sulla tragedia del Mottarone

Ecco che cosa non torna sulla strage

Perché la fune traente si è spezzata? I controlli periodici per la manutenzione dell'impianto erano eseguiti a regola d'arte? In quanti sapevano dei freni disattivati da tempo? C'erano degli interessi economici da tutelare? Se sì, quali? A una settimana esatta dalla tragedia del Mottarone, restano ancora numerosi punti da chiarire di quella che passerà alla storia come il più grande disastro funiviario italiano. Quattordici persone hanno perso la vita nel drammatico incidente e un bimbo di soli 5 anni, unico superstite, è rimasto orfano di entrambi i genitori. Sono ancora tante - troppe, forse - le eventuali responsabilità da accertare. Almeno quante le persone coinvolte nei fatti e che dovranno rendere conto al pm della Procura di Verbania, Olimpia Bossi, e alla giudice per le indagini preliminari Donatella Banci Buonamici, dell'ipotesi di reato per omicidio colposo plurimo, disastro colposo con messa in pericolo della sicurezza dei trasporti e lesioni gravissime. Dal punto di vista tecnico, secondo quanto riferisce l'edizione odierna de Il Messaggero, spetterà a un perito del Politecnico di Torino analizzare la fune per capire la causa della rottura che ha dato il via alla corsa della cabina verso lo schianto letale contro il pilone 3 del Mottarone. Ma proviamo ad analizzare punto per punto quello che (ancora) non torna della strage partendo dalle poche certezze sull'episodio incidentale.

Le certezze sull'incidente: il sistema frenante

Tutto quello che sappiamo con (quasi) assoluta certezza riguarda la dinamica della sciagura: la cabinovia aveva i freni disattivati dai cosidetti "forchettoni". Si tratta di due predellini metallici che vengono inseriti sul sistema frenate della vettura per tenere aperte le ganasce. Di norma, come ben spiega il Corriere della Sera, vengono utilizzati quando la funivia è all'ultima corsa della giornata al fine di rendere meno problematica la riapertura dell'impianto il giorno successivo. Tuttavia, il protocollo stabilisce che i forchettoni possano essere montati solo quando a bordo del mezzo non vi siano passeggeri. Questo perché, in caso di eventi eccezionali, il freno deve funzionare in modo da inibire la discesa incontrollata della cabinovia a valle. In buona sostanza, proprio l'esatto contrario di quanto è stato fatto domenica scorsa.

La confessione del caposervizio: "Sono stato io"

Altro punto indiscusso della tragedia sono le responsabilità - già accertate - del caposervizio, Gabriele Tadini, storico macchinista della funivia prossimo alla pensione. Quattro giorni dopo il disastro, il 63enne ha ammesso di aver inserito volontariamente i forchettoni a bordo della telecabina. "Sono stato io a lasciare inseriti i forchettoni quel giorno, - ha dichiarato - l'ho fatto perché c'era un'anomalia ai freni che li faceva chiudere spesso". Tadini ha precisato poi che i freni sono rimasti quasi ininterrottamente disattivati dal giorno della riapertura dell'impianto, dopo lo stop per Covid dello scorso 26 aprile.

I dubbi suli altri due indagati

Nel corso della deposizione, il caposervizio ha chiamato in causa altri due soggetti: il proprietario e il direttore dell'impianto. Si tratta di Luigi Nerini, 56 anni, titolare delle Ferrovie del Mottarone, e il direttore di servizio, Enrico Perocchio (51 anni) che sovraintende alla gestione della funivia ed è dipendente del gruppo Leitner, la società che ha fornito le cabine e provvede alla manutenzione della funivia. Tadini sostiene che entrambi sapessero dei forchettoni inseriti - motivo per cui sono scattati gli arresti domiciliari - ma i due respingono le accuse. "Non potevo fermare io la funivia", dice Nerini; "Quella dei forchettoni è stata una scelta scellerata di Tadini", controbatte Perocchio. Chi la racconta giusta? In attesa di stabilire la verità sulle responsabilità effettive degli indagati, il giudice per le indagini preliminari, Donatella Banci Buonamici, ha disposto la scarcerazione di Nerini e Perocchio per insufficienza di prove.

I punti oscuri: perché la fune si è spezzata?

Della tragedia sappiamo, per certo, che la fune traente si è spezzata. Ma il motivo per cui abbia ceduto è ancora poco chiaro. Si è usurato col tempo o a seguito di ripetuti sfregamenti? Ha impattato contro qualcosa? Individuato il punto del distacco, vicino alla "testa fusa", cioè al carrello della cabina, ci si concentra su due scenari. Il primo ipotizza una lenta usura dell’intreccio di fili metallici. Il secondo, invece, che il cavo avesse da tempo avesse problemi di tensione e, a forza di "tira e molla", uno strattone più forte abbia determinato il cedimento. Qual è la verità?

Per quale motivo scattava il sistema frenante?

Si tratta di un'altra domanda a cui bisognerà trovare risposta in tempi brevi. Secondo le prime ricostruzioni degli inquirenti, quei freni facevano bene il loro lavoro: rilevavano avarie e rendevano un tutt’uno la cabina con la fune portante in modo che la vettura non scivolasse indietro senza controllo (come invece è avvenuto domenica). Allora, perché è scattato il sistema frenante? Come ben spiega il quotidiano La Stampa, i motivi possono essere più di uno. Tra questi c’è una anomalia sulla fune traente, che può essere più molle o più tesa del dovuto. Ma è davvero così che è andata?

I controlli periodici erano fatti con rigore?

Che i controlli si facessero è documentato dalle certificazioni, senza le quali l'impianto non avrebbe potuto funzionare. Buona parte delle verifiche era affidata al colosso Leitner che aveva tra i dipendenti anche Perocchio. Ma i controlli giornalieri e settimanali, previsti dal regolamento di esercizio e dal manuale d’uso e manutenzione sono in carico al gestore: venivano fatti a regola? A questa domanda dovrà rispondere il caposervizio della funivia, Gabriele Tadini, al quale viene contestata l'accusa di aver annotato che fosse tutto a posto pur sapendo che c'erano problemi già da tempo. Perché?

C'erano degli interessi economici?

Rimane da chiarire quante persone sapessero dei freni disattivati.

Gli altri operatori dell’impianto? E anche se lo sapevano, quale livello di consapevolezza del rischio di disastro avevano questi dipendenti che evidentemente obbedivano a ordini superiori? E per quale motivo, in attesa del ripristino della funzionalità del freno, non sono state fermate le corse? Domanda, quest’ultima, che ha dentro il sospetto della procura: soldi. Fermare la funivia significava fare meno corse e staccare meno biglietti. Meno guadagni. "Non ho risparmiato sulla sicurezza e ha agito in piena trasparenza", dice Nerini. Qual è la verità?

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