Uccise e nascose la compagna nell'armadio: condannato a 23 anni

L'uomo avrebbe inferto coltellate all'addome, al torace e al collo della compagna

Uccise e nascose la compagna nell'armadio: condannato a 23 anni

Il 12 luglio 2017 il 33enne barese Marco Basile uccise la compagna Donata De Bello, 48 anni. Il corpo della donna il giorno dopo venne ritrovato nella casa del quartiere Madonnella nella quale la coppia viveva, chiuso in un armadio della camera da letto, avvolto in un cellophane e in un tappeto e legato con delle corde. In base ai primi rilievi sembrò che la donna fosse deceduta in seguito ad alcuni colpi inferti all'addome, al torace e alla gola. A dare l'allarme fu il padre del responsabile che, insospettito dai comportamenti insoliti del figlio, decise di rivolgersi alle Forze dell'Ordine che si misero subito sulle sue tracce. Nel giro di poche ore condotto e interrogato in caserma, Basile non confessò il delitto, ma raccontò che durante un litigio era stata la vittima ad aggredirlo e a minacciarlo di colpirlo con un coltello da cucina con il quale la stessa si sarebbe inferta le ferite mortali. L'uomo diceva altresì di aver tentato di impedire alla compagna di farsi del male abbracciandola. In seguito ai rilievi di rito, la Scientifica trovò la lama nell'abitazione e Basile, poiché i sospetti nei suoi confronti erano divenuti maggiormente fondati, venne sottoposto a fermo di indiziato di delitto con l'accusa di omicidio volontari.

Secondo le indagini condotte dai Carabinieri e coordinate dal pm Giuseppe Dentamaro il 33enne avrebbe ucciso la donna colpendola con una coltellata fatale alla giugulare dopo un violento litigio. Per tale motivazione è stata chiesta dalla Procura di Bari una condanna a 23 anni di reclusione. Nel processo i quattro fratelli della vittima e l'ex marito con il figlio minorenne della stessa sono costituiti parti civili. Gli avvocati Nicola Quaranta e Giuseppe Romano che li rappresentano hanno chiesto risarcimenti fino a un milione di euro ciascuno.

I difensori dell'imputato, Stefano Remine e Massimo Guarini, hanno invece chiesto l'assoluzione. Secondo loro si sarebbe trattato di un fatto accidentale poiché era la vittima ad impugnare il coltello. Il processo è stato rinviato al 13 maggio per repliche e sentenza.

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