Coronavirus

"Va, pensiero" in maschera. E il coro diventa un simbolo

Al teatro La Fenice di Venezia l'immagine fortamente metaforica dell'Italia che vuole la libertà dal virus.

"Va, pensiero" in maschera. E il coro diventa un simbolo

Va' pensiero, sull'ali legate dal Covid. Ieri, nel corso del tradizionale concerto di Capodanno al teatro La Fenice di Venezia, il coro ha intonato il vibrante passaggio del Nabucco di Giuseppe Verdi, che molti vorrebbero come inno nazionale, con la mascherina sulla bocca. Il pubblico, ovviamente, era assente, ma lo spettacolo, come sempre, è andato in diretta su Raiuno. Non tutti hanno gradito. Per motivi musicali, ma anche ideologici: quella mascherina imposta all'orchestra diretta da Daniel Harding sarebbe il segno di un Paese che ha reagito alla pandemia accettando restrizioni delle libertà costituzionali. Fortunato Ortombina, sovrintendente e direttore artistico della Fondazione Teatro La Fenice, osserva che sono misure di sicurezza in vigore nel nostro Paese. Analoghe precauzioni erano già state prese alla «Prima» della Scala e al San Carlo di Napoli. Paese che vai, protocollo che incontri. A Vienna, nell'altro concerto di Capodanno, l'orchestra dei Wiener Philarmoniker diretta da Riccardo Muti ha seguito un'altra strada: niente mascherine.
Comunque la si pensi, l'evento veneziano resta simbolico. Il Nabucco fu scritto come metafora della condizione dell'Italia, asservita alle potenze straniere. Per questo l'immagine del coro imbavagliato era potente. Molti, in quei fotogrammi, per analogia, hanno visto l'Italia imbavagliata dal Coronavirus, in attesa di spezzare le catene della «servitù» imposta dalla situazione sanitaria.
«Va, pensiero, sull'ali dorate» (nell'originale non c'è apostrofo). Vadano sulle ali dorate non solo il pensiero, la cultura dunque, ma anche l'economia, la politica e, senza scomodare istituzioni e massimi sistemi, la nostra vita quotidiana che ha pagato un prezzo altissimo al virus. Di fronte al coro che non rinuncia a levare il suo canto, sebbene con la bocca protetta, forse c'è anche il desiderio di non arrendersi. Lo stato d'emergenza finirà e con esso le regole che condizionano il nostro lavoro e i nostri affetti.
Il pensiero però deve potersi librare senza rimanere impastoiato in eterni duelli da bar, da social network, da talk show in cui si fa a gara nello squalificare gli interlocutori, che poi sono altri italiani impegnati a resistere allo sfascio. Si può essere critici sull'operato del governo senza negare la gravità della situazione; pare una banalità, ma non lo è: da quanti mesi sentiamo parlare a sproposito di «negazionisti»? Si può discutere dell'obbligo vaccinale, il prossimo dibattito senza esclusione di colpi, senza essere intransigenti «no vax» o «pro vax». Parliamo, confrontiamo i dati e le idee: non è pazzo chi attende con trepidazione il vaccino, ma neppure chi manifesta dubbi legittimi.
Troppe volte abbiamo reagito di fronte alle sfide (orrende) di quest'anno (orrendo) dividendoci in tifoserie. Ecco, quel coro, ieri, ci ha ricordato che, nel bene e anche nel male, siamo fratelli o, se preferite, concittadini. Il viso è imprigionato, ma la voce arrivava forte lo stesso.

Dividiamoci pure, ognuno faccia valere le sue opinioni, anche con forza, ma il pensiero lasciamolo libero.

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