Cronache

"Nessun rischio di diffusione epidemica: ecco la verità sul vaiolo delle scimmie"

Tre casi accertati in Italia e decine nel resto del mondo. Ne abbiamo parlato con il presidente dell'Aifa per sfatare false informazioni e comprendere perché questo virus, conosciuto da sempre, ora è considerato anomalo

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Con tre casi accertati e attualmente ricoverati a Roma all’ospedale Spallanzani, è arrivato anche in Italia il Monkeypox, comunemente chiamato il vaiolo delle scimmie. Un virus che, sebbene sia conosciuto da tempo, sta comunque suscitando l’attenzione della sanità mondiale. Questo perché ha raggiunto una diffusione anomala rispetto ai casi registrati da quando è comparso nel 1950. Il primo caso in Italia, riscontrato in un ragazzo di ritorno da un viaggio alle Canarie, ha provocato un'attenzione eccessiva che ha scatenato teorie fantasiose o dati errati. Per fare un po’ di chiarezza sull’argomento abbiamo intervistato il professor Giorgio Palù, presidente dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa), past-president della European Society for Virology e Professore emerito di Microbiologia e Virologia.

Professore cosa sappiamo su questo vaiolo delle scimmie?

“È un virus che appartiene alla famiglia Orthopoxviridae molto simile a quello del vaiolo umano il cui ultimo caso registrato è del 1977 in Somalia, tanto che due anni dopo l’Oms ha dichiarato il vaiolo estinto grazie alla vaccinazione di massa. In realtà il virus del vaiolo esiste ancora negli armamentari di guerra biologica di Stati Uniti e Russia. Non è comunque l’unico poxvirus che infetta l’uomo, perché ne esistono altri due responsabili di patologie mucocutanee. Il virus del mollusco contagioso, molto conosciuto dai dermatologi, e l’altro, un parapoxvirus dei bovini e dei caprini che si chiama Orf, che occasionalmente può provocare nell’uomo l’ectima contagioso. Il vaiolo delle scimmie invece, lo conosciamo dal 1950 per la sua diffusione Africana nei primati, ed in alcuni roditori e anche per la sua capacità di trasmettersi occasionalmente all’uomo. È per così dire venuto alla ribalta nei primi del 2000 negli Stati Uniti con alcuni casi di persone che avevano come animali da compagnia delle scimmiette o piccoli roditori africani. Fino ad ora se ne contavano pochi casi fuori dall’Africa. In ogni caso, l’infezione sull’uomo è molto meno grave di quella delle scimmie”.

Che tipo di virus è e come si diffonde?

“Come tutti gli orthopoxvirus è un virus che ha un rivestimento strutturalmente molto complesso ed un numero elevato di geni che lo rendono quasi autonomo dalla cellula ospite; è infatti l’unico virus a dna a replicarsi nel citoplasma. Data la dimensione (il virione ha 0,25 micron di diametro) è visibile al microscopio ottico dopo la colorazione delle cellule infettate. Come dicevo, era già stato segnalato ai primi anni 2000 negli Stati Uniti e successivamente anche in altre parti del mondo ma ora l’Oms riporta decine di casi in Gran Bretagna, Spagna, Portogallo, Svezia e Usa. Si diffonde come tutti gli orthopoxvirus potendo trasmettersi, anche se in casi eccezionali dagli animali all’uomo attraverso lesioni mucocutanee, droplets respiratorie o contatto con fluidi corporei. Il virus ha infatti la capacità di infettare molto facilmente cellule che fanno parte dei tessuti mucosi quali cellule endoteliali, leucociti, macrofagi. L’infezione da monkeypox ha un periodo di incubazione di solito di un paio di settimane ed è caratterizzata da rialzo febbrile e sintomi simili influenzali dovuto al passaggio del virus dalle mucose ai linfonodi. Poi compare l'eruzione prima vescicolare (piccole vescicole), poi macule (lesioni piatte), papule (lesioni in rilievo) e croste. Rare per l’uomo le complicazioni polmonari e sistemiche. Le tipiche lesioni cutanee hanno comparsa sincrona (compaiono contemporaneamente) diversamente da quelle che caratterizzano un’altra manifestazione esantematica come la varicella”.

È corretto dire chi fino al 1981 è stato vaccinato per il vaiolo risulta coperto anche per questo virus?

“Il vaccino antivaioloso, che è poi il vaccino di Edward Jenner (derivato nel 1797 dalle lesioni vaiolose delle mucche), quello con cui siamo stati vaccinati fino al 1981, ha una protezione molto lunga negli anni, anche contro il monkeypoxvirus, come dimostrato dai soggetti africani vaccinati. Non possiamo però dire con certezza, nel caso di specie, quanto possa durare questa protezione perché sono passati 40 anni dalla sospensione della vaccinazione antivaiolosa. È comunque una protezione molto importante perché fatta con un vaccino a virus vivo che stimola molto efficacemente il nostro sistema immunitario, quindi in linea teorica si tratta di una protezione che può durare per tutto il corso della vita”.

Esistono vaccini per il Monkeypox?

“Non esiste un vaccino ma un farmaco, il Tecovirimat, che l’Ema ha approvato nel 2022 dopo studi condotti sui macachi e conigli. Ha una protezione molto efficace e funzione impedendo l’ultima fase della replicazione del virus, ovvero l’uscita dalla cellula".

Per chi invece è nato dopo il 1981, quindi non vaccinato per il vaiolo umano secondo lei c’è timore di infettarsi?

“Il monkeypoxvirus ha due varianti: la prima dell’Africa occidentale e l'altra dell’Africa centrale, Quella occidentale ha una mortalità che è minore dell’1%. Quella invece dell'africa centrale (Sudan, e Congo), dal 5 al 10%, quindi non si tratta di un’infezione del tutto priva di rischi per la salute. Quello che si è notato nei casi sinora segnalati, è che si tratta comunque di cluster autolimitati e che pertanto, almeno al momento, appare poco probabile anche se non si può escludere a priori, la trasmissione da uomo a uomo. È, come detto, una zoonosi causata da un virus che ha come ospite naturale la scimmia (un primate molto vicino evolutivamente alla nostra specie); per la sua trasmissione all’uomo c’è sempre bisogno di un contatto molto ravvicinato”.

Avendo ancora presente il Covid, c’è la possibilità che il vaiolo delle scimmie diventi pandemico?

“Può anche occasionalmente trasmettersi da uomo a uomo ma, lo ripeto, anche per la trasmissione da uomo ad uomo c’è sempre bisogno di un contatto molto stretto. Quindi non c'è il rischio di una diffusione epidemica e tanto meno pandemica”.

Ci sono norme particolari che vanno seguite?

“Bisogna fare attenzione a chi arriva dall’Africa e disporre di un controllo della catena di trasmissione, quindi ricercare i contatti di questa persona. Per fortuna la diagnosi è molto semplice e veloce, avendo a disposizione gli adeguati strumenti in possesso di un laboratorio di Virologia”.

Siete stati allertati dal Ministero della Salute in maniera particolare?

“Il Ministro Speranza ha convocato una riunione ad hoc e c’è un allerta anche all’Istituto Superiore di Sanità. Di sicuro sono state inviate informazioni alle Regioni, calcolando che il primo caso in Italia, a cui ne sono subito seguiti altri due, è stato attenzionato appena un paio di giorni fa. L’importante è isolare i casi sospetti e mettere a punto adeguati sistemi diagnostici. In ogni caso, anche i tre casi italiani non presentano particolari preoccupazioni”.

Perché in questo momento c’è stata un’impennata della diffusione secondo lei?

“Dobbiamo aspettarci nuovi virus con potenziale zoonotico. Vale la pena ricordare che la popolazione del pianeta, da un miliardo dell’inizio del scorso secolo, è passata a quasi 8 miliardi. Cè una globalizzazione diffusa, solo lo scorso anno circa 5 miliardi di persone hanno preso l’aereo. È in corso un’alterazione del pianeta e di molte sue nicchie ecologiche, pensiamo solo alla deforestazione e agli allevamenti massivi di animali di specie diversa. Il fenomeno lo abbiamo vissuto oltre che con SARS-CoV-2 anche con i virus Ebola, Nipah, Hendra oltre che con il virus influenzale. Monkeypoxvirus non fa altro che confermare questo trend e spinge ad un forte investimento in Virologia evoluzionistica per studiare i virus con potenziale pre/pandemico all’interfaccia uomo-animale-ambiente".

Da più parti è stato detto che questo virus si sta comportando in maniera anomala, passando anche persone che non hanno avuto uno stretto contatto con animali infetti o che non provengono da zone a rischio. Cosa significa e perché si sta comportando in questo modo?

"Andranno studiati con grande attenzione dal punto di vista sia epidemiologico sia virologico/molecolare in ambito medico-veterinario i casi attualmente diagnosticati.

L’assenza di trasmissione animale-uomo o la conferma di una possibile trasmissione uomo-uomo dovrà necessariamente trovare una giustificazione nella genetica del virus e dell’ospite o in un particolare modalità di contagio".

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