Variante Colle sulla politica

Mario Draghi si sta quasi rassegnando. Il Quirinale si fa ogni giorno più lontano. I partiti gli chiedono di restare a Palazzo Chigi almeno fino al 2023

Variante Colle sulla politica

Mario Draghi si sta quasi rassegnando. Il Quirinale si fa ogni giorno più lontano. I partiti gli chiedono di restare a Palazzo Chigi almeno fino al 2023. Lo ha fatto Berlusconi, poi Salvini, poi Conte, adesso anche Enrico Letta, nel conto manca Renzi, che finora non si è espresso chiaramente, ma neppure lui ha fretta di andare a elezioni anticipate. Il capo del governo aveva altri programmi e forse anche una promessa di trasloco quando ha accettato di prendersi sulle spalle il destino dell'Italia. Il suo problema però è proprio questo. Non è affatto facile trovare qualcuno che possa prendere il suo posto. L'idea di una sorta di semipresidenzialismo di fatto, sul modello francese, con Draghi garante del lavoro svolto sino a qui da inquilino del Colle, richiede una riforma profonda della prassi costituzionale. Non si può fare. È come entrare nella «terza repubblica» senza passaporto. È una forzatura che renderebbe illegittimo il futuro politico di questo Paese. Allora bisogna fare i conti con la realtà. Il lavoro di Draghi non è finito. È stato chiamato per risolvere una situazione di emergenza, qualcosa di così grave da richiedere misure eccezionali. La pandemia a quanto pare è ancora qui e i tempi sono più lunghi di quelli sperati. Le conseguenze del virus non hanno a che fare solo con la salute, con i ricoveri, con il numero di morti, perché la crisi che stiamo vivendo è sociale e economica. I numeri dicono che l'Italia si sta riprendendo, il rimbalzo del Pil è senza dubbio un fatto positivo, però come in un'avventura ti trovi altre insidie da superare. L'aumento dell'inflazione magari era anche previsto, ma non così incisivo da smorzare l'ottimismo di qualche mese fa. La carenza di materie prime e il conseguente aumento dei costi di produzione, e poi di vendita, sta diventando un problema sempre più serio. È davvero come ritrovarsi in un'economia di guerra, con un quadro geopolitico fragile e tutto da definire. L'Europa è il ventre molle di questa storia e l'Italia vede vacillare il suo sogno di rinascimento. Era questa la promessa di Draghi: trovare una via di uscita dopo anni di incertezze. Non ha fallito, perché un effetto Draghi c'è stato. L'ex presidente della Bce ha funzionato come un vaccino. Ha dato fiducia e rassicurato gli altri Paesi europei. Il carisma dell'Italia è cresciuto. È per questo che adesso sarebbe poco saggio tornare indietro. La corsa al Quirinale sta già facendo vedere cosa significa avere un Draghi depotenziato. L'azione di governo è meno incisiva e lo strabismo di una maggioranza anomala porta a una politica di compromessi, di attese, di larghi giri e tentennamenti.

È un ritorno al «galleggiamento» del Conte bis, quando ogni scelta veniva vissuta come un pericolo per l'equilibrio generale. Ecco, Draghi deve tornare a scegliere e a mostrarsi forte rispetto ai partiti. Il Quirinale resta una promessa, ma non è detto che debba essere incassata subito.

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