Coronavirus

'L'immune escape' fa paura: ecco come il virus ci inganna

Si chiama "immune escape" il processo che può portare una variante ad aggirare gli anticorpi prodotti dal virus e dal vaccino. Non è il caso dell'inglese ma bisogna prestare attenzione, soprattutto alla "ricombinazione"

'L'immune escape' fa paura: ecco come il virus ci inganna

Il nuovo Coronavirus ha il codice genetico racchiuso in circa 30mila lettere che costituiscono le sue basi nucleotidiche, nulla in confronto alle oltre 3 miliardi di basi del Dna umano. Eppure, quelle 30mila lettere stanno tenendo con il fiato sospeso tutto il mondo a causa delle recenti varianti rispetto al ceppo originario che avevamo imparato a conoscere.

Virus contro sistema immunitario

La maggior parte di esse è totalmente innocua mentre qualcun'altra può dare nuove caratteristiche rispetto al virus originario. Le mutazioni sono del tutto casuali e servono al Covid, così come per tutti gli altri virus esistenti, ad adattarsi all'ospite e continuare a sopravvivere altrimenti gli anticorpi del nostro sistema immunitario avrebbero la meglio e distruggerebbero definitivamente la malattia. Purtoppo così non è ed ecco perché alcune di queste varianti provano ad "ingannare" il nostro organismo. Ma in che modo? "È un meccanismo scientificamente conosciuto da sempre quello tra il virus ed il sistema immunitario degli esseri umani. Soprattutto i virus ad Rna come questo o come quelli dell'epatite C e dell'Hiv sono portati ad un elevato livello di mutazione", spiega in esclusiva al giornale.it il Prof. Pasquale Ferrante, virologo e Direttore sanitario della struttura Istituto Clinico Città Studi di Milano che per primo ha sequenziato una nuova variante del virus (qui la nostra intervista) che, in questo caso, non rende più pericoloso il Covid.
Come si formano le varianti. Quanto sta accadendo, quindi, rientra nel processo naturale di ogni virus che, quando entra all'interno della cellula, inizia il processo di replicazione. "Solitamente, il virus ad Rna inizia il processo di replicazione virale con l'immediata sintesi di un set di proteine che serve per la replicazione. Questo set comprende la più conosciuta e più studiata, la polimerasi, che è un enzima virale, cioè codificato dal genoma del virus ed ogni virus ha una polimerasi sua, è uno dei caratteri identificativi del virus. La polimerasi legge immediatamente il genoma e lo modifica, sintetizzando una molecola complementare. Uso sempre l'esempio della stampa di una volta: si preparava il foglio grezzo e con la rotativa si facevano tantissimi fogli di giornale che poi venivano tagliati. La stessa cosa succede grossomodo con il virus", ci spiega il Prof. Ferrante.

L'importanza dei genomi virali

I virus sono proprio "il prototipo del concetto di evoluzione" secondo l'esperto perché, avendo una polimerasi che commette errori, ad ogni ciclo replicativo può venire fuori una mutazione del genoma del virus che lo fa diventare diverso ed è proprio quello che sta accadendo. Le mutazioni, però, possono avvenire in diverse parti del genoma. "È importante ricordare che l'epatite C che ha ucciso tantissime persone ha un genoma di polarità positiva che può fungere direttamente da messaggero, è la replicazione più veloce che esista ma il suo genoma è composto soltanto da 10mila basi. Il Sars-Cov-2, invece, ha un genoma di 30 mila basi". Il virus non è intelligente, le mutazioni sono casuali e possono avvenire su tutto il genoma del virus. Quindi, i virus sono predisposti alle mutazioni: per loro è un meccanismo involontario ma che gli permette la sopravvivenza all'interno del loro universo", afferma Ferrante. Il loro universo è rappresentato dagli esseri umani e, per sopravvivere, hanno bisogno di trovare più organismi umani possibile perché, all'interno di un singolo organismo, verrà poi eliminato dagli anticorpi. "Nell'epatite C e nell'Hiv, invece, il virus non viene mai eliminato dal corpo della persona infetta perché lì c'è il concetto della persistenza che, fortunatamente, sembrerebbe non esserci nel caso di Sars-Cov-2".

Varianti, qual è la più pericolosa?

Inglese, brasiliana, sudafricana: ormai le conosciamo bene ed i media ce ne parlano ogni giorno. Ma quale di queste è realmente più "pericolosa"? Se l'inglese è più trasmissibile ma non più letale (fino a prova contraria), enormi grattacapi sta creando quella sudafricana, in grado di ridurre l'efficacia del vaccino AstraZeneca ed in grado, sembrerebbe, anche di sfuggire al controllo degli anticorpi di chi ha avuto precedentemente la malattia. "Queste tre varianti hanno una mutazione, la 501Y, che le rende molto contagiose ed hanno anche la mutazione 484K che è quella che fa diminuire un po' la sensibilità agli anticorpi. Per entrambe le ragioni sono un po' più preoccupanti", ci racconta il Prof. Massimo Ciccozzi, Responsabile di Epidemiologia dell'Università Campus Bio-Medico di Roma. "Quella che gira maggiormente in Italia è l'inglese e sono tutte dovute a viaggi, inizialmente arrivano così. Poi le persone si infettano e si passano la variante. Sembra che la presenza di quella inglese sia intorno al 18% con Regioni che ne hanno una circolazione maggiore come la Lombardia. Questi dati sono dell'Istituto Superiore di Sanità. Quindi, se il virus continuerà a circolare così, la variante inglese andrà a sostitutire la variante che avevamo dai primi di febbraio, la Dg614, che a sua volta sostituì il ceppo originario di Wuhan", ci dice Ciccozzi.

Cosa accade con la Spike mutata. In Italia, però, non circola la sudafricana ma è l'inglese ad essere dominante: questa mutazione, fortunatamente, "non entra nel gioco dei vaccini perché è una mutazione che riguarda una proteina che ha una funzione regolatoria ancora da definire", spiega Ferrante. Ciò che colpisce l'attenzione è quante possono essere le mutazioni nella regione Spike. Da questo punto di vista, purtroppo, va incontro a molte mutazioni e se ne sono già osservate circa 8-9 mila soltanto in quella zona. "Una mutazione in Spike può portare a due cose: questa zona funge da recettore, indispensabile al virus per attaccarsi alla cellula ed è una zona che viene riconosciuta come non propria contro la quale il sistema immunitario produce gli anticorpi. Anche se sono vicinissime, può mutare una funzione e non l'altra o, nella peggiore delle ipotesi, entrambe le funzioni. Quindi, se viene favorito un maggior attaccamento alle cellule, il virus aumenta l'infettività come quello che accade per la variante inglese; invece, la variante sudafricana è molto più pericolosa perché probabilmente riesce a sfuggire al sistema immunitario".

Cos'è l'immune escape

Ecco, quindi, che persone già contagiate o appena vaccinate possono essere nuovamente esposte all'infezione da Covid-19. "Il virus, se riesce a cambiare la parte epitopica, quella cioè che funziona come antigene, non viene più riconosciuto dal sistema immunitario. Gli anticorpi che si sono prodotti nei confronti della proteina non mutata non la riconoscono più. Questo meccanismo si chiama 'immune escape' ed è alla base della patogenesi di Hiv ed Epatite C. In questo modo il vurus riesce a sfuggire al sistema immunitario ed è quello che viene temuto per i vaccini, che sono stati disegnati in un certo modo dovuto ad una certa sequenza degli aminoacidi. Se si crea un meccanismo di 'immune escape', chi ha fatto il vaccino prima che ci fosse la variante con la mutazione, potrebbe non essere più protetto", afferma il Prof. Ferrante. "Il sistema immunitario è concentrato verso la proteina Spike del virus, motivo per cui si può inficiare leggermente il vaccino che stimola quel tipo di anticorpi, specifici per la proteina Spike - ci dice Ciccozzi - Se c'è una mutazione in un punto importante della proteina che è il sito di attacco della cellula, l'anticorpo non riesce a riconoscerlo. In questo caso è solo leggermente inficiato perché la proteina ha subito due-tre mutazioni importanti ma non così tante da non poter più essere riconosciute dagli anticorpi. Le riconoscono ma con un po' più di difficoltà", ci dice l'epidemiologo romano.

"Necessari ulteriori studi"

Adesso che anche l'Italia ha iniziato a sequenziare, più si studia più varianti si trovano. Ma, per dire che una o l'altra sia più capace di infettare o di mettere in dubbio la capacità di un vaccino sono necessari studi e dimostrazioni che hanno bisogno del loro tempo, non sono affermazioni che si possono fare da un giorno all'altro. "Una collega di Trieste ha isolato una variante scozzese, che è una sub-variante dell'inglese, in un bambino di 8 anni. Ha mandato il tampone, abbiamo coltivato il virus e stiamo vedendo se le persone infettate con le altre varianti sono protette o meno", racconta il Prof. Ferrante. Adesso, in Italia, si stanno anche raccogliendo i sieri di chi è stato vaccinato con due dosi per vedere se gli anticorpi neutralizzanti sono in grado di bloccare il virus. "Prima di poter se il virus sfugge bisogna fare questi esperimenti e sono necessarie alcune settimane. La variante trovata a Napoli, appena scoperta, non si può dire subito se è più contagiosa o altro perché bisogna fare una serie di esperimenti di questo tipo".

Due varianti in una: ecco la ricombinazione

Come viene riportato da una rivista specializzata inglese, New scientist, sono state identificate per la prima volta due varianti del Coronavirus nel Regno Unito e in California che sembrano essersi combinate formando un ibrido fortemente mutato. "La sequenza ha segni rivelatori di essere un virus ibrido creato da un evento di ricombinazione tra due diverse linee di SARS-CoV-2", scrivono i ricercatori stranieri. In pratica, Coronavirus come Covid-19 hanno un superpotere evolutivo chiamato "ricombinazione" che consente a due virus strettamente correlati di mescolarsi e abbinare i loro genomi in nuove combinazioni. A differenza della mutazione regolare che procede lentamente con un cambiamento alla volta, la ricombinazione può produrre cambiamenti all'ingrosso in un genoma del coronavirus in un unico colpo. "L'ibrido tra due varianti come evento di combinazione è possibile ma, prima di definirne l'importanza da un punto di vista patogenetico ed epidemiologico, bisogna fare qualche studio in più perché se ci focalizziamo sulla proteina Spike troveremo tantissime variazioni. Quindi, la coincidenza di una doppia mutazione è possibile", ci spiega il Prof. Ferrante a cui fa eco anche il Prof. Ciccozzi, il quale afferma che "la ricombinazione nei virus ad Rna è quasi normale, lo fa quello dell'influenza e lo faceva l'Aviaria, è un normale ricombinare per un virus ad Rna ma non significa che sviluppi una forma più pericolosa.

La maggior parte non lo è ma è ovvio che, se circolano più varianti, hanno maggiori probabilità di incontrarsi e sviluppino una combinazione con le mutazioni dell'una e dell'altra", conclude l'esperto.

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