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Cosi Bergoglio rischia la vita per riscattare il popolo cristiano

Lo confesso, fino ad oggi parole ed opere di Papa Francesco non sempre m'hanno convinto o entusiasmato.

Cosi Bergoglio rischia la vita per riscattare il popolo cristiano

Lo confesso, fino ad oggi parole ed opere di Papa Francesco non sempre m'hanno convinto o entusiasmato. E spesso mi sono chiesto se qualcosa sfuggisse alla mia comprensione. Dopo una settimana passata sulle tracce di quello che domani sarà il suo cammino nel nord dell'Irak la sensazione di una mia personale inadeguatezza è assai forte. In questi giorni mi son reso conto d'inseguire il progetto di un pontefice tanto coraggioso quanto libero da schemi e convenzioni. E per questo difficilmente classificabile. O giudicabile.

E mi fa un po' sorridere chi da lontano pretende d'annacquare nel pastone informe e asettico della multiconfessionalità l'audace gesto d'amore che questo Papa sta regalando ai cristiani perseguitati e dimenticati dell'Irak. La loro dannazione è incominciata con la caduta di Saddam. Allora erano più di un milione e mezzo. Oggi sono meno di 300mila. Al loro inarrestabile esodo hanno contribuito i massacri del radicalismo sunnita e l'indifferenza delle autorità irachene.

Dunque se il Papa va dal Grand Ayatollah Alì Al Sistani non lo fa solo per il piacere di confrontarsi con la massima autorità sciita del paese, ma anche per salvare i cristiani. Solo al Sistani è oggi in grado di contrastare l'influenza di Teheran. Solo al Sistani può rivolgersi al governo iracheno pretendendo che i Cristiani tornino ad esser considerati non degli intrusi, ma un ingranaggio cruciale per la difficile convivenza religiosa. Solo quel riconoscimento permetterà ad una comunità smembrata, sfiduciata e intimorita di tornare alle proprie case. Solo quell'atto metterà fine agli abusi e alle minacce di chi s'è convinto che cacciare un cristiano dalle proprie terre sia un atto di fede.

Ma le tappe di questo viaggio ci fanno anche capire quanto il perdono cristiano, invocato tanto spesso da Francesco, sia ben diverso dall'oblio storico. Altrimenti non si sarebbe assunto il rischio di attraversare quella città vecchia di Mosul da dove s'irradiava il terrore dello Stato Islamico. Un percorso da brivido durante il quale metterà a rischio la propria incolumità attraversando con devastante e temeraria lentezza sconnessi labirinti di impresidiabili macerie. Ma lo farà per inginocchiarsi accanto alle rovine di Al Tahera. Solo così potrà mostrare al mondo la profanazione di quell'antica chiesa siro-cattolica dove i militanti dell'Isis fecero a pezzi la croce e bruciarono i libri sacri. Solo così potrà ricordare al mondo la distruzione e la sofferenza causata da odio, fanatismo e intolleranza. E per la stessa ragione poche ore dopo parlerà davanti all'altare di quella Cattedrale dell'Immacolata Concezione di Qaraqosh che l'Isis diede alle fiamme dopo averla trasformata in centro d'addestramento e poligono di tiro per i propri militanti.

Dunque al termine di questo viaggio di una cosa saremo definitivamente certi. Papa Francesco perdona, ma non abbandona e non dimentica.

E per farlo è pronto persino a rischiare la propria vita.

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