È difficile dire, tra i tanti durissimi colpi subiti in questi giorni da Vladimir Putin e che lo stanno mettendo all'angolo, quale sia stato il più pesante. Uno tostissimo, reso possibile dall'eroismo dei combattenti ucraini, dalla qualità delle armi fornite dagli americani e (non ultimo) dall'inattesa unità del fronte politico europeo, glielo ha inflitto l'armata di Kiev entrando indisturbata a Kherson. Poco più di un mese fa lo stesso Putin, durante una cerimonia sfarzosa e irrimediabilmente kitsch celebrata in un salone del Cremlino, l'aveva proclamata una delle quattro «nuove ed eterne» città capoluogo della Federazione Russa: ieri Volodymyr Zelensky vi si è presentato di persona (Putin non l'avrebbe fatto mai) per raccogliere l'ondata d'amore della sua popolazione liberata e per promettere che la lotta contro l'invasore russo continuerà fino a una pace vittoriosa.
Un altro schiaffo in pieno volto gli era arrivato pochi giorni fa da parte di uno dei suoi più fanatici sostenitori. Quell'Aleksandr Dugin che ha confezionato per il suo regime un'ideologia retrograda, ultranazionalista e guerrafondaia e che, da quando la sua complice figlia è rimasta uccisa vicino a Mosca in un attentato in cui doveva morire lui, non perdona più al suo idolo i fallimenti della guerra all'Ucraina. Dugin ha gettato su Putin il marchio d'infamia del «falso Zar», quello perdente che nella tradizione russa deve pagare con la vita l'incapacità di condurre la nazione alla vittoria. E poco conta che il verboso filosofo dell'«armiamoci e partite» abbia poi fatto una tardiva marcia indietro: il colpo, inaudito, era già partito e il falso zar coperto di fango.
Ma la mazzata più dura da reggere è arrivata da Pechino. Da uno Xi Jinping che, più raffinato di Putin quanto a visione internazionale, ha compreso che la sua priorità dovrà sì rimanere la conquista dell'egemonia mondiale ai danni dei rivali americani, ma non al prezzo di trovarsi nel frattempo impelagato in conflitti che (e questo Putin non riesce ad accettarlo) non possono essere vinti.
Il mio alleato di Mosca, ha detto Xi alla vigilia del G20 di Bali che sta dedicando al recupero del rapporto sino-americano, non mi aveva detto la verità quando ci incontrammo prima dell'attacco russo all'Ucraina, e deve anche smetterla di giocherellare con il suo arsenale atomico. È quasi un passo indietro da un patto personale che era stato venduto come forgiato nell'acciaio. E che lascia Putin sempre più solo a fronteggiare i tanti che, forse non solo politicamente ormai, lo vogliono morto.
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