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Zen, quartiere "mandala" in cerca di riscatto

Un labirinto di palazzi gialli (e brutti) forma il quartiere più malfamato di Palermo. Tra tesori nascosti e voglia di riscatto

Zen, quartiere "mandala" in cerca di riscatto

I palazzi gialli si susseguono geometricamente uno dopo l'altro, formano geometrie complesse e per chi non li conosce sembrano enigmatici. Il labirinto assume quasi una vita propria, piccole vie interne celano mondi nascosti, per poi aprirsi in spazi aperti inaspettati. I palazzi sono brutti e sono quelli tipici dell'edilizia popolare pianificata dallo Stato negli anni Sessanta (guarda le foto).

Ma lo Zen2 di Palermo, visto dall'alto, potrebbe sembrare un “mandala” buddista. Il “mandala”, un diagramma circolare costituito, di base dall'associazione di diverse figure geometriche rappresenta, secondo i buddisti, “il processo mediante il quale il cosmo si è formato dal suo centro; attraverso un articolato simbolismo consente una sorta di viaggio iniziatico che permette di crescere interiormente”.

I veri “mandala” possono essere solamente “mentali, le immagini fisiche servono per costruire il vero mandala che si forma nella mente della gente. I “Mandala di sabbia” vengono consacrati solo per il periodo durante il quale sono utilizzati per il servizio religioso”. Sono poi distrutti per ricordare la caducità delle vita.

Il segreto dello Zen2

Il vero segreto dello Zen2, con i suoi palazzi color sabbia, non è la bruttezza esteriore o i viali geometrici, ma l'umanità che si nasconde tra le sue mura. Usando una metafora, non è sulle sue forme esteriori su cui bisogna concentrarsi, ma sul mondo “interiore” che custodisce. L'osservatore attento più che le architetture deve conoscere i suoi abitanti. Non per assolvere le istituzioni per avere creato questo quartiere, oggi rivelatosi un mezzo disastro, ma per comprendere che la rinascita non può che partire dall'energia delle tante persone che qui vivono e nonostante tutto ancora credono che la situazione possa migliorare. Gli abitanti dello Zen hanno infatti un grande senso di comunità e appartenenza.

Lo Zen1 e lo Zen2

Il quartiere è diviso in due zone, la prima chiamata lo Zen1, e la seconda chiamata Zen2. Quest'ultima vive in un limbo burocratico da quando fu pensata e costruita per volontà dell'Istituto Autonomo Case Popolari nel 1969. I suoi abitanti si trovano prigionieri in una strano labirinto.

Lo Stato ha costruito un quartiere intero, creato dall'architetto Vittorio Gregotti, per poi non dargli l'abitabilità e per molto tempo alcun servizio. Attorno alle case non vi sono le infrastrutture comunali e manca la manutenzione pubblica.

I lavori di costruzione non sono mai stati terminati del tutto e le istituzioni non diedero mai l'abitabilità per alcuni complessi problemi burocratici più che urbanistici. Ancora oggi gli abitanti che hanno pian piano occupato le case vuote dello Zen2 sono per lo Stato degli abusivi. Dalla nascita del quartiere a oggi non si è mai voluto o saputo sanare la posizione di migliaia di persone che vivono in questo enorme agglomerato di case popolari. Eppure si sono stati fatti condoni dopo condoni per gli abusi privati più incredibili, ma lo Stato non ha mai sanato se stesso. Persone che sono fantasmi per la burocrazia e di cui la politica si ricorda solamente sotto le elezioni, vivono tutti i giorni in un quartiere a cui i burocrati non vogliono concedere di esistere. Eppure, la gran parte di esse spera in una maggior presenza dello Stato nel quartiere. Anche loro sono figli di Palermo.

Le associazioni

La maggior parte delle associazioni che lavorano nel quartiere, come il “Laboratorio Zen Insieme” e “Bayti Baytik”, chiedono che si rompa il tradizionale assistenzialismo con cui lo Stato tenta da sempre di intervenire qui. Gli operatori danno voce alla richiesta degli abitanti di rompere il circolo vizioso della burocrazia che non ha mai voluto concedere l'abitabilità alle case costruite dall'Ente Autonomo Case Popolari e chiedono di responsabilizzare i cittadini che qui vivono. La maggior parte delle persone non chiede altro. Basta rendersi conto che qui tutti i condomini sono autogestiti. Anche la maggior parte della manutenzione è fatta dai privati, visto che per le istituzioni questo quartiere non è “formalmente” abitato perché non ha l'abitabilità. Rimane un mistero dei più complessi comprendere com'è possibile che un quartiere costruito dallo Stato, progettato da un famoso architetto, lo stesso che pochi anni fa, ha progettato la Bicocca di Milano, non abbia ancora l'abitabilità. Quello che sorprende di più è che i palazzi autogestiti sono molto più ordinati degli spazi esterni ai condomini. Nelle piazze mai finite, oggi grandi prati incolti, si trovano addirittura discariche di materiali edili, che denunciano gli abitanti, vengono scaricati notte tempo da ditte che non sono del quartiere. Che gli abitanti abbiano cura degli spazi comuni, lo dimostra il fatto che il nuovo campo da calcio, anch'esso autogestito è, contro ogni pronostico della politica, in ottime condizioni. Inoltre, tra le vie dello Zen2 esistono negozi e baretti, nati in modo spontaneo, nonostante la burocrazia abbia tentato di ucciderli sul nascere, che rappresentano gli unici spazi di socializzazione per la collettività.

Per fortuna la situazione è molto migliore allo Zen1, che venne pianificato prima con maggiore attenzione e ha le infrastrutture comunali. Un'altra fortuna per il quartiere è la vicinanza con lo splendido e caraibico mare di Mondello. In pochi minuti, i ragazzi cresciuti tra la bruttezza degli anonimi palazzoni popolari possono fare un tuffo nella bellezza più assoluta.

Il segreto dello Zen si svela quando piano piano si comprende che una gran parte delle persone cercano una maggior presenza dello Stato e dei suoi servizi. E' lo Stato che spesso non riesce ad ammettere che questi cittadini esistano. Gli abitanti dello Zen stanno ormai capendo che l'assistenzialismo, magari prima delle elezioni, non è che un modo per rendere eterno il limbo in cui vivono. Concedere l'abitabilità, sanare occupazioni decennali, se gli occupanti non hanno redditi alti e responsabilizzare i cittadini, smettendola con un assistenzialismo che non crea lavoro, vorrebbe dire liberare le persone da questo Purgatorio. Ma serve la volontà istituzionale di farlo.

Qualcosa che negli ultimi quarant'anni è sempre mancata.

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