Un cronista di costume tra leggerezza e ironia

Istrionico, vivace e spassoso come sempre, col nuovo spettacolo Paolo Poli attraversa il Novecento rielaborando per la scena sei inchieste giornalistiche

Difficile stabilire cosa affascini maggiormente gli spettatori: se particolare plauso meritino, cioè, i festosi costumi che rievocano epoche e stili diversi, oppure le belle scenografie che citano opere di gradi artisti del Novecento, o ancora l’orecchiabilità delle canzoni già note e la scoperta di quelle sconosciute, oppure l’arguzia di una partitura testuale che ci lega simpaticamente alla storia del nostro costume e della nostra società. Difficile, insomma, isolare la caratteristica vincente di Sei brillanti, ultima fantasiosa invenzione di e con Paolo Poli che, di scena in questi giorni all’Eliseo, va assaporata nel suo insieme, nel suo schioppettante montaggio di materiali e linguaggi diversi. Montaggio che ovviamente trova nell’attore toscano (come sempre anche autore e regista) un interprete quanto mai eclettico, ammiccante, raffinato, eccessivo, carnevalesco e - soprattutto - spiritoso. Il pretesto drammaturgico su cui l’istrionico artista, ancora una volta impegnato in una varietà di ruoli che attraversano duttilmente maschile e femminile, costruisce questo lavoro sta in una libera rielaborazione di alcuni scritti di sei giornaliste italiane attive tra gli anni Venti e gli anni Ottanta: Maria Volpi Nannipieri (in arte Mura), Paola Masino, Irene Brin, Camilla Cederna, Natalia Aspesi ed Elena Gianini Belotti. Camuffati tra siparietti cantati e ballati (le musiche sono curate da Jacqueline Perrotin, le coreografie di Alfonso De Filippis), tra coloriture mimiche inclini al grottesco e tra continui giochi di travestimento, i sei pamphlet in questione permettono di intercettare temi ricorrenti e ossessioni comuni: la famiglia, l’amore, il senso del pudore, la sessualità, la morale cattolica, la vecchiaia, il contrasto tra la fame nera di certi periodi e l’esplosiva voglia di cambiamento di altri. Via via che le splendide tele di Lele Luzzati creano l’atmosfera giusta, il filo del tempo ci trasporta dalle sottigliezze di un amore lesbico fiorito ad inizio secolo agli stenti derivati dalla Grande Depressione del ’29 (con tanto di esilarante infanticidio); dalle evanescenti follie di un’anziana signora che vive nella Roma dell’immediato dopoguerra al boom economico e ai palpiti rivoluzionari dei mitici anni Sessanta; dai contorsionismi dialettici di un cardinale interrogato sull’aborto e sull’eticità dello «scapolo» allo sfogo appassionato di una povera vedova in vena di confessioni fin troppo sincere. Sotto questa sequela di racconti si intravedono naturalmente l’avanspettacolo, la satira sociale, lo sbeffeggiamento fanciullesco (enfatizzato dai vivaci costumi di Santuzza Calì), il gusto barocco per l’abbondanza e, in definitiva, il desiderio di raccontare con divertimento un’Italia che cambia ma che in fondo rimane sempre uguale a se stessa. Poli ne è la straordinaria vedette: instancabile costruttore di donne affettate e civettuole, di uomini cupi e romantici, di prelati ambigui e contraddittori, di vecchie burbere e bizzarre. A tutti egli riserba la medesima eleganza, la medesima arguzia, quasi che la natura più profonda di questo suo ennesimo divertissement coincida proprio con una dimensione dove gli opposti vanno a collimare e maschile e femminile si sovrappongono. Le canzoni che infarciscono la partitura non fanno che sottolineare ancor meglio questo aspetto: rigorosamente eseguite dal vivo, ci trasportano ora indietro di molti decenni, ora tra i luccichii demenziali della neonata Radio, ora tra le competizioni festivaliere (con spassosi approdi a Donatella Rettore, Gianna Nannini, Loretta Goggi).

Non c’è dubbio, insomma, che qui Poli sappia ben calibrare riferimenti colti e immaginario popolare, recitazione straniata ed effetti comici, al fine di costruire un meccanismo teatrale sospeso con levità tra ironia e spassosa autoironia.
Repliche fino al 7 gennaio. Informazioni allo 06/4882114.

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