Il Crt presenta la morte secondo Tolstoj

Così come la descrive Tolstoj in uno dei suoi racconti più belli, la vita di Ivan Il’ic è quella di un perfetto borghese dell’Ottocento. Come tutti i membri della sua classe sociale, Il’ic è uno stimato professionista che ha una moglie appassionata di teatro, una figlia che studia danza e partecipa ai balli della buona società, degli amici con cui conversare di argomenti dotti e un po’ fatui, magari alternando il russo al francese, come vuole la moda dell’epoca. A interrompere questa routine interviene però un lieve disturbo allo stomaco, un fastidio dalle cause imprecisate che, nel giro di breve tempo ma di lunghe peripezie mediche, si rivela molto più di un fastidio...
«La morte di Ivan Il’ic», lo spettacolo di Claudio Autelli in scena al CRT Teatro dell’Arte fino a oggi, estrae dall’omonimo racconto di Tolstoj l’epopea di un uomo che si misura con l’ineluttabilità della morte in completa solitudine. Mentre tutti intorno a lui rimuovono l’incombenza del male riparandosi dietro la cortina delle convenzioni borghesi (ben emblematizzata dalla tenda che avvolge il salotto e circoscrive la scena), Il’ic affronta la morte in un letterale corpo a corpo. Infatti, proprio come negli altri spettacoli di Autelli, anche in questo la dimensione somatica gioca un ruolo prioritario: si direbbe quasi che, nel suo percorso iniziato pochi anni fa, il giovane regista milanese stia tentando di rendere carnali i classici, di verificarne l’attinenza con quell’identità primaria dell’uomo che è insita nel suo corpo.

E che la ricorrente messinscena del degrado, sia fisico che esistenziale, sia uno strumento per indagare il lato oscuro della quotidianità, per sondare le malattie insite nella vita di tutti i giorni, o forse solo un modo per ribadire la natura cagionevole della specie umana.

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