«Via crucis» riscoperta A Locarno il film della Sgarbi

Ero già salito a Cerveno, al Sacro Monte, e avevo chiara memoria delle sculture lignee di Beniamino Simoni, allineate nelle cappelle ai lati della stretta corsia della Chiesa parrocchiale.
Ma avevo dimenticato le case, le montagne, la luce. Così, tornando in questa nuova occasione per seguire le riprese del nuovo film di mia sorella, ho trovato le sculture nelle strade con il continuo stupore di vedere i volti e i portamenti degli abitanti, spesso brevilinei, identici a quelli scolpiti da Beniamino; la somiglianza è consapevole, se, nella passione rappresentata in una festa di popolo decennale, gli abitanti di Cerveno si compiacciono di ripetere atti, movimenti, espressioni, delle statue di Beniamino.
Il quale, dunque, diversamente da Varallo, da Varese, e da Orta, stabilisce un'imprevedibile relazione fra realtà e finzione, compiacendosi dell'inevitabile scambio. Così la sintesi della forma e la varietà dell’invenzione non derivano da una trasfigurazione, ma da un rispecchiamento. Beniamino Simoni osserva gli abitanti di Cerveno e li traduce in sculture, con appassionata fedeltà, riproducendone i lineamenti, le smorfie, le teste quadre, le gambe corte; ed è contento che essi animino il racconto di una storia che è lontana ma che appare subito attuale, e rinnovabile, e quotidiana. Così che è più rara l'occasione della vivente Sacra rappresentazione che quella che si trova nelle capele del Santuario della Via Crucis.
Chi vi entra, entra in una strada coperta di Cerveno, più popolosa e animata delle vie del paese. E a destra e a sinistra trova un popolo che gli viene incontro, e gli racconta più della sua vita quotidiana che del dramma religioso. Brulicano, parlottano, mimano, si riconoscono e ti accolgono come, al riparo nella sua casa, di fronte al Santuario, il signor Giuseppe Cappellini, che ci accolse con straordinaria gentilezza quando bussammo alla sua porta per chiedergli di poterci rispecchiare, a nostra volta, in un televisore. Nessuno stupore per la richiesta, a lui che era consapevole di essere rispecchiato, in una ben più durevole aspettativa, nei personaggi, suoi simili. Non dunque inventati, ma trovati da Beniamino Simoni. Poteva, il Cappellini, uscir di casa e entrar in Chiesa, confondendosi con il popolo delle statue che si agitava intorno al Cristo nel suo lungo calvario.


Poteva recitare e vivere, scambiandosi le parti con i personaggi infagottati della compagnia teatrale messa in scena da un regista, più simile a Pasolini che a Testori, che spirito faceva della materia che trovava. Così Beniamino Simoni fra la gente di Cervino. Povera e buona, nel rigore dei monti, trasformati per l'occasione in un calvario. Ma, degli abitanti, non ci credeva nessuno.

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