Il ct che decide la formazione leggendo le stelle

D i sicuro avrà studiato le stelle. Fa sempre così prima di parlare. E di decidere. Raymond Domenech disegna la tattica di una partita e prepara le parole di una conferenza dopo aver consultato i segni dello zodiaco. Non lo avresti mai detto e immaginato. Nemmeno che un giorno del ’94, mondiali degli Stati Uniti, venne arrestato per bagarinaggio fuori dallo stadio di Boston. Era lì come osservatore della federazione: processato e condannato dalla corte del Massachusetts, scucì 500 dollari per tornare in libertà. Questo signore di cinquantacinque anni viene da Lione e quando giocava a foot veniva chiamato casseur de jambes, un bel macellaio del pallone, tirava diritto, da terzino destro o difensore esterno come si usa dire e scrivere oggi. Tirava diritto ma anche a tutto ciò che gli capitava di fronte, se era il pallone meglio, o peggio (Nereo Rocco utilizzava questa immagine rivolgendosi al raffinato Anquilletti). Si era anche fatto crescere i mustacchi, sembrava un attore da spaghetti western, quei messicani nati a Trastevere. Lui, in verità, ha un cognome che rivela le origini catalane della sua famiglia antica. Di famiglia si intende: ne ha avute tre, compresa l’attuale che non è ancora ufficializzata dal matrimonio ma è solidissima. Estelle Denis, giornalista, ex collaboratrice di Eugene Saccomano la prima voce e testa di Francia, poi passata a M6 e conduttrice del programma 100 pour 100 Foot, madame Denis gli ha regalato due figli, la prima si chiama Vittoria, un nome che proprio non ci azzecca con Raymond ma che ricorda la nomina, nel 2004 a selezionatore della nazionale francese. Il secondo di nome fa Merlin, come il mago, qualunque riferimento alle stelle e allo zodiaco è puramente voluto. Domenech ha altri due eredi, avuti dalla primissima moglie, insegnante di educazione fisica. Insomma uno che si è dato da fare, da professionista della vita e assieme «amateur» non proprio del tutto dilettante però. Quando mollò la carriera di calciatore, dopo aver spaccato alcune tibie e giocato in tutto otto volte con la maglietta dei coqs, Raymond Domenech fece amicizia con un gruppo di comediens. Lo attiravano le tavolacce del palcoscenico, lo attizzavano i costumi di scena, l’affabulazione, la recita. Così dalle quinte fece un passo in avanti e stando a suoi biografi fu anche attore, non protagonista, di un Re Lear. Forse sperava di intraprendere la stessa carriera di Bernard Tapie che dopo il football ha visto al cinema e a teatro (magistrale la sua interpretazione di «Qualcuno volò sul nido del cuculo») una nuova affermazione pubblica. Ma le casseur de jambes ha preferito restare nel profumo dell’olio canforato e nel rumore dei tacchetti. Ha continuato a perfezionare il personaggio mechant, provocatore che gli viene quasi naturale ma, in contemporanea, non ha tradito le sue tendenze culturali, ama la lettura dei libri, ama i film storici, roba strana per il mondo del foot, quello francese innanzitutto che sembra aver scoperto questa disciplina dopo averla snobbata per un secolo.


Di solito non parla volentieri con i giornalisti, o meglio a taccuini chiusi e microfoni spenti sa essere cordiale, generoso nelle sue elucubrazioni, illustrando motivi e capricci che lo hanno portato, ad esempio, negli ultimi anni a lasciare a casa Pires e Giuly che non risultano tra i suoi grandi elettori.
Quando sbarcherà in Italia, per la partita di Milano, dovrà di nuovo consultare l’oroscopo. Il suo segno zodiacale è l’acquario. Forse farà il pesce in barile.

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